Pensare la città come una grande casa significa ritrovare il filo della memoria per ritornare a un'idea di Leon Battista Alberti, che pensava una città domestica, in cui l'uomo potesse controllare il tempo e lo spazio della sua esistenza. Ai suoi tempi la città era lo spazio vitale in cui trovava espressione l'umanità, era un ecosistema, un ambiente.
In realtà oggi abbiamo a che fare con una città che vuole respirare in modo diverso, che vuole sottrarsi alla dimensione patologica dei suoi mostruosi problemi, che vuole sfuggire all'immagine che la rappresenta come crogiuolo dei più drammatici problemi sociali, economici, politici e culturali di questo secolo.
Ritrovare la dimensione domestica della città vuole dire prendersi cura di sé nella dimensione pubblica dell'esistenza.
E prendersi cura significa riconsiderare il momento estetico della vita, riprendersi la città nel suo corpo qualitativo, nelle sue relazioni con il fuori, con il cielo, le stelle, il verde, i suoni, la luce, il futuro dell'uomo. Se questo è vero allora bisogna esplorare la città nei suoi angoli invisibili, in quei momenti che sfuggono alla nostra abitudine.
Il riferimento al capolavoro di Italo Calvino, "Le città invisibili" (Mondadori), pubblicato nel novembre del 1972, è imprescindibile, perché in quel libro Calvino ha saputo fotografare il movimento sotterraneo e impercettibile che ha portato le città ad essere quello che sono oggi: precarie, instabili, mutanti, ibride, governate da mani incapaci di gestire l'incalzare dell'entropia.
Tornando indietro nel tempo scopriamo che la letteratura (anche scientifica) ha variamente raccontato il sogno della città, cercando di dare visibilità anche architettonica al pensiero utopico e cercando di ridurre il più possibile la distanza che separa la città reale da quella ideale. Si potrebbe pensare a due opere fondamentali per l'Urbanistica moderna come il "De re aedificatoria" di Leon Battista Alberti (1452-1485) e l'"Utopia" di Thomas More (1516). Il pensiero utopico nel suo tentativo di dare una descrizione dello stato ideale perfetto ha riservato una particolare attenzione all'organizzazione razionale degli spazi umani. A cominciare dai più noti "La città felice" (1553) di Francesco Patrizi, passando per Tommaso Campanella con la "Città del sole" (1602), fino a "La nuova Atlantide" (1627) di Francesco Bacone. Un filone fantastico che prepara il terreno ai grandi progetti dell'Ottocento, dall'Icaria di Cabet, alla New Harmony di Owen, al Falansterio di Fourier, al Familisterio di Godin.
Quello che non è riuscito a fare la letteratura, far vedere un progetto di città nei suoi aspetti dinamici e complessi, è riuscito a farlo il cinema nel ventesimo secolo.
Impossibile rendere conto brevemente di una filmografia sul tema della città e della rappresentazione di una cultura Urbanistica. Lo spazio urbano ha segnato il concetto di inquadratura e si può anche dire che il con il cinema è cambiato il concetto di città. I punti di vista sull'agglomerato urbano si sono moltiplicati e la città è sta guardata in infiniti modi, alternando la posizione formale e scenografica alla sua dimensione sociale e umana. Alcuni capolavori di Griffith come "Intolerance" e "Nascita di una nazione" hanno dato struttura narrativa alla città e si può persino sostenere che la qualità dei film di Griffith è sostenuta dall'impianto architettonico del set. L'effetto comico dell'arte di Charlie Chaplin e di Buster Keaton (si pensi ai due film come "Cameraman" e a "Tempi moderni") è centrato sul rapporto che la loro figura stabilisce con il contesto urbano. La città ricopre un ruolo linguistico fondamentale nella storia del cinema, attraversando il senso del passato, del presente e del futuro.
Il capostipite dei film sulle città del futuro è "Metropolis" (1927) di Fritz Lang, ambientato nel 2026 e che mostra una megalopoli costruita su due livelli, con gli operai che lavorano come schiavi nei sotterranei e i padroni che vivono e si divertono in superficie. In quello stesso anno Walter Ruttmann realizza "Berlino - Sinfonia di una grande città", un film che vuole raccontare la città com'è e come viene vissuta. È un documentario che descrive il respiro quotidiano di una grande città, dall'alba a mezzanotte.
E due anni dopo Vertov realizzerà quello che viene considerato il capolavoro del cinema di ambiente urbano: "L'uomo con la macchina da presa", resoconto della giornata di un operatore che gira per Mosca.
Sono due film che segneranno in modo indelebile il modo di fare cinema. Sguardi oggettivi sulla realtà attenti a cogliere il momento dinamico della vita urbana. Quali saranno le caratteristiche della metropoli del futuro è difficile dirlo
. È impossibile dire se la rappresentazione di sapore apocalittico del futuro della città che il film "Blade runner" di Ridley Scott (1982) disegna sarà inevitabile. La metropoli multirazziale che il regista ha ripreso il soggetto dal romanzo "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" (1968) di Philip K. Dick è certamente legata ad una evoluzione tecnologica ancora molto lontana (il tempo presente della storia è nientemeno che il 2019).
Tuttavia "Blade runner" dà corpo visivo al tema dell'espansione totalizzante della città, mostrando una città che ha consumato lo spazio respirabile e che si trasforma lentamente in quella che Virilio chiama "cosmopoli", un orizzonte virtuale di centro delocalizzato di tutte le attività umane.
È il pensiero di una città organizzata secondo criteri quantitativi quello che intende governare le metastasi delle realtà urbane. Letteratura e cinema hanno comunque valorizzato uno sguardo che si muove nel senso di una riqualificazione dello spazio urbano, facendo respirare concetti spaziali come quelli di "corridoio ecologico", di riconversione culturale, di fruizione pubblica e collettiva degli spazi. È necessario un pensiero urbanistico che non si chiuda nel puro esercizio tecnico e che ripensi qualitativamente alla città per costruire un'immagine di città compatibile con i bisogni dell'uomo e con la sua esistenza.
Il cinema e la letteratura potranno essere in questo senso un ottimo strumento di giudizio e valutazione.