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Piano, Piano, Puc
 
Nuoro ha perso 1.000 abitanti negli ultimi 10 anni.
Lo sviluppo economico langue e l'offerta di servizi non sembra avere capacità attrattiva verso l'esterno.
Il mercato immobiliare è in crisi per carenza di domanda.
I prezzi di compravendita sono bassi mentre i costi di costruzione sono adeguati agli standard nazionali.
Nonostante questo c'è una aspettativa generalizzata di ampliamento del perimetro urbano, per sanare lottizzazioni abusive e per inserire nuove aree. Per alcune di queste, quando non sono sostenibili le motivazioni urbanistiche, si propongono argomentazioni diverse, come la così detta Urbanistica contrattata (cessioni gratuite in cambio di volumetrie) citata da molti con immotivato entusiasmo.
In effetti si tratta di una modalità attuativa - peraltro prevista dalle leggi - che non può giustificare di per sé una scelta se non vi è una utilità generale. Questo è il quadro da cui si parte ma, come si usa nei racconti classici, prima di andare avanti è opportuno dare un'occhiata indietro.
Nuoro è passata, fra il 1960 ed il 1990 da 25.000 abitanti a quasi 40.000. Un bel salto, anche troppo rapido, che ha lasciato i suoi segni.
I Piani urbanistici infatti non hanno preceduto lo sviluppo ma lo hanno seguito.
Il vecchio Piano Patteri, nato nel 1950 ha resistito ostinatamente fino al 1972, quando venne bandito il concorso per il Piano di ampliamento, detto anche Piano Ramazzotti, dal nome del progettista.
La lunga resistenza del Piano Patteri, oramai sottodimensionato rispetto ai fenomeni di inurbamento, ha generato un abusivismo diffuso, di cui ancora restano visibili le cicatrici.
Monte Jaca, Sa 'e Sulis, Preda Istrada, Mughina, hanno visto realizzate le infrastrutture di base, ma, dopo trenta anni, sono ancora fisicamente e morfologicamente non integrati con la città, e non lo saranno mai del tutto.
Il Piano Patteri ed il Piano Ramazzotti sono stati riuniti in un unico P.R.G. del 1979 che non ha portato elementi urbanistici innovativi oltre la somma dei due strumenti precedenti ad eccezione della esperienza incompiuta di Città Giardino, della edificabilità al Nuraghe (oramai palesemente eccessiva) ed altri ampliamenti sul perimetro non sempre motivati. Quel Piano sopravvive ancora oggi. In alcune parti stravolto nei suoi principi (vedi l'asse attrezzato di iniziativa pubblica) ed in altre parti inattuato per indisponibilità dei privati proprietari o per carenza di domanda.
Gli ultimi sussulti di domanda di aree a basso costo di acquisto si è orientata verso Testimonzos, fuori dai confini del Piano, dando luogo all'ennesima lottizzazione abusiva.
È la conferma di uno storico disinteresse per le norme urbanistiche per il quale, oramai, non si può più invocare neanche l'alibi dello stato di necessità.
In questo quadro non ottimistico si pone la domanda: c'è proprio bisogno di un nuovo Piano Urbanistico?
La risposta e sì. Senza esitazioni.
I piani urbanistici sono strumenti che governano i processi, qualunque sia la loro velocità di attuazione, ed anzi, nei momenti di stasi, possono formulare programmi e previsioni meno condizionati dalla forte pressione della domanda. Tuttavia governare i processi non significa affatto determinarli, come pure, erroneamente, si ritiene e quindi non basta una previsione Urbanistica per garantirne la attuazione.
Il 90% delle volumetrie di un Piano è di proprietà privata, e si realizzerà sulla base di criteri economici e di mercato. In ogni caso sarà lo specchio del contesto economico e culturale del momento.
La Amministrazione comunale, che redige il Piano, deve sapere che il suo ruolo consiste nel saper interpretare e incanalare verso finalità di pubblico interesse i processi economici che la domanda di mercato genera fissando gli obiettivi che intende raggiungere.
Questi obiettivi possono essere molteplici e riguardano sia il modello di città, sia la sua qualità estetica sia i servizi e gli spazi collettivi, la dotazione di aree pubbliche, la densità delle edificazioni. Una città in stasi demografica, come è Nuoro oggi, deve quindi guardare più alla qualità che alla quantità; più a riprogettare che ad ampliare.
Su questo tema (la funzione e la tecnica del piano) è in corso da sempre una importante discussione fra gli urbanisti. Alcuni considerano il Piano come un insieme di regole, norme e parametri tesi a garantire corretti rapporti fra spazi, servizi ed edificazione, rinviando poi agli strumenti attuativi e ai singoli progetti la scelta dei caratteri di architettura che la Città avrà. Altri ritengono che il Piano sia uno strumento di disegno della città anche nella sua veste fisica; ritengono il piano un grande progetto, che deve definire da subito gli elementi essenziali, strade, piazze, prospettive, dimensioni e caratteristiche degli spazi e degli edifici più significativi, ai quali assegna il compito di caratterizzare l'immagine della città futura. Deve cioè garantire fin dal principio non solo gli indici, ma il volto della Città. Questa interpretazione, che ha una matrice più "rinascimentale", è quella che ritengo, personalmente, più idonea ad interpretare i bisogni di questa fase, con la città che non ha un forte sviluppo ma ha una forte necessità di disegno di immagine di qualità.
In effetti Nuoro non ha mai saputo o potuto definire un progetto autonomo e riconoscibile per il suo futuro ed ha sempre vissuto del terziario, o, come si usa dire, dei trasferimenti pubblici più che del valore aggiunto della produzione.
Una città che operi nei servizi verso il mercato si struttura in funzione della domanda del suo mercato di riferimento (ad esempio il turismo, o l'università, o l'archeologia, o la gastronomia o una miscela di più domande. Chi opera nella produzione si struttura per facilitarne la crescita. Sa di dover rispondere a chi porta le risorse e sa di dover offrire servizi e capacità attrattiva.
Chi opera nel terziario pubblico non ha un'utenza forte, riconoscibile ed esigente.
Quasi tutti coloro che abitano a Nuoro, non la hanno scelta: ci sono nati o vi sono stati destinati. Nuoro non li ha dovuti conquistare con la sua bellezza o con la sua qualità.
L'impegno delle Amministrazioni è, quindi, rivolto verso lo Stato, la Regione e le istituzioni perché vanga assegnato a questo territorio una parte di funzioni e quindi di risorse.
Così si cerca di avere una presenza del-l'esercito, della amministrazione della giustizia, della pubblica istruzione secondaria, dell'università, della sanità.
Più che un progetto è la rivendicazione della "legittima": quella parte inalienabile del patrimonio paterno alla quale ogni figlio ha comunque diritto.
La assenza di una domanda esterna (o interna) forte, incide anche sul volto della città, che si presenta in modo disordinato, senza gerarchie di funzioni, con una policentricità casuale nella ubicazione dei servizi e con una qualità media dell'edificato che corrisponde - né potrebbe essere altrimenti - alla modestia dei valori economici del costruito. Quindi ciò di cui ha bisogno la città è una definizione chiara di obiettivi e dal punto di vista urbanistico una definizione fisica degli spazi.
La prima necessità attiene alle competenze della politica, la seconda è Urbanistica e si può discuterne, come di fatto oggi accade, anche se è evidente che una carenza di obiettivi forti si ripercuote sulle scelte urbanistiche.
Vi è una forte domanda di qualità che appare insoddisfatta: qualità degli spazi urbani, delle strade, delle piazze, di alcuni edifici pubblici capaci di segnare positivamente la cultura del tempo che viviamo.
Vi è una domanda di qualità dell'architettura in generale, e qui, mentre i privati fanno i conti faticosamente con il mercato, l'intervento pubblico può segnare la differenza.
Fino ad oggi non lo ha fatto e gli edifici pubblici hanno lo stesso carattere di mediocrità ed incompiutezza degli interventi privati.
Qualità dell'architettura significa anche qualità degli spazi e rapporto fra "pieni e vuoti" e quindi riduzione degli indici, oggi certamente troppo elevati dappertutto, ma anche definizione degli spazi pubblici, del verde, dei percorsi.
La Amministrazione comunale esercita il governo su una quantità enorme di superfici libere, costituite dalle strade, le piazze, i giardini, il verde. Questo tessuto connettivo, che permea tutta la città, può essere trattato in modi diversi. Oggi non ha una funzione speciale e non si differenzia per qualità estetica e culturale dagli edifici privati. Prevedere una progettazione ed una realizzazione di qualità per questi spazi significa garantire una parte fondamentale del volto futuro della città.
Ed infine il Piano rappresenta l'opportunità per porre mano con intelligenza alla più importante area della città, costituita dall'Artiglieria, dal campo sportivo e da ciò che gravita in quell'intorno che è il baricentro fisico dell'abitato ma anche un enorme vuoto nel suo tessuto urbano godibile.
La stravaganza di una città che ha il suo centro (i giardini e piazza Mazzini) a pochi metri dalla campagna di Badde manna e tratta come periferia le sue aree più centrali va risolto con una progettazione che definisca i tratti essenziali del nuovo centro urbano, dove collocare l'Università ma anche le funzioni direzionali importanti, un parco pubblico, i parcheggi, il terminale dei trasporti e tutto ciò che può dare una testimonianza alta della cultura Urbanistica e del senso civico dei tempi che viviamo. Forse serviranno trenta anni perché l'intero intervento si realizzi, ma questo, in Urbanistica, è la regola.
Ciò che importa è che i passi che si compiono siano indirizzati nella giusta direzione ed abbiano un respiro slegato dal destino della singola opera, pubblica o privata. Se non si coglie appieno questa rara opportunità, o non la si utilizza correttamente, si condannerà la città ad una immagine di periferia indefinita, senza luoghi Urbanistica mente significativi tranne qualche episodico elemento di richiamo che, di volta in volta, la casualità delle circostanze farà disordinatamente emergere.
Il Piano deve poi dare una risposta chiara alle molte aspettative sull'inserimento di nuove aree.
Questa discussione è in gran parte fuorviante rispetto ai temi veri che si debbono trattare.
Il problema non è Testimonzos, ma la città, l'Artiglieria, i percorsi ed il sistema delle piazze, la qualità degli accessi e, naturalmente, la qualità complessiva degli spazi.
La circonvallazione ha tracciato un confine fisico che, per i prossimi decenni, dovrebbe essere rispettato anche perché è facilmente riconoscibile.
Scavalcarlo significa perdere il controllo della linea di confine ed esporsi a valutazioni discrezionali difficilmente argomentabili.
D'altra parte la quantità di spazi ancora edificabili all'interno del perimetro è di per sé una ragione più che sufficiente per rigettare le sollecitazioni.
Ciò che è stato, al di là della circonvallazione, è oramai una realtà con la quale si dovrà confrontarsi solo per sancire che non si può dare vita ad una nuova "città giardino" mentre ancora non sono risolte le ragioni della crisi della prima. Si potrà, probabilmente, normare ciò che esiste in modo da sollevare l'intera collettività dall'onere di dover realizzare urbanizzazioni ed infrastrutture ove non servono ed al massimo si potrà consentire quell'utilizzo agricolo supportato da piccoli fabbricati di servizio che ha costituito l'alibi di chi ha acquistato.
Altra cosa sono le richieste di edificabilità di aree già urbane o molto prossime all'abitato, per le quali il criterio guida dovrebbe esser quello della effettiva utilizzabilità senza pregiudizi ambientali, di una compatibilità paesistica effettiva e, comunque, di indici realmente bassi e di norme realmente restrittive.
Le poche energie pubbliche e private dovrebbero oggi essere indirizzate verso il centro della città piuttosto che verso le sue periferie perché se non si determina una massa critica di interventi coordinati pubblici e privati, ci sarà forse qualche casa in più, ma il volto della città non cambierà.
Infine il problema dei problemi: il Monte Ortobene.
Anche in questo caso le scelte dovrebbero essere guidate dalla razionalità più che dagli auspici.
Molti, in particolare i proprietari, vorrebbero che vi si costruissero delle case, prime o seconde non si sa, in cambio di ampie cessioni ed a garanzia di una maggiore tutela del territorio.
Per rispondere in modo non aprioristico a queste istanze ci si deve chiedere chi sono i possibili utenti delle case che si vorrebbero costruire: saranno cittadini di Nuoro che sposteranno la loro residenza stabile? Nuoresi che vorrebbero avere una seconda casa di vacanza al Monte? Turisti che vogliono scegliere Nuoro per le loro vacanze? Non credo che esistano altre categorie.
Né mi pare sufficiente, per fare una scelta, la affermazione che i proprietari cederanno ampie superfici gratuitamente. Né, ancora, che faranno a loro spese le opere di infrastrutturazione. Questi sono, infatti, obblighi di legge e, di per sé, non possono giustifi
care la scelta. Quanto ai quesiti posti, pare improbabile, oggi, che vi sia una domanda esterna di seconde case.
Se c'è non è consistente e non è pensabile che cresca solo perché ci sarà l'offerta.
Quanto ai nuoresi che vi andrebbero ad abitare, ci si deve chiedere perché una città di 38.000 abitanti, che ha difficoltà a servire dignitosamente i suoi quartieri con autobus, illuminazione, manutenzioni, reti idriche e fognarie, depurazione etc. dovrebbe essere capace di dare questi servizi ad alcune centinaia di cittadini che si collocassero a qualche chilometro di distanza. E perché gli altri dovrebbero sopportare il costo di quei servizi, che non sono certo urbanizzazioni primarie e quindi non sarebbero a carico dei proprietari delle aree ?
Né si capisce con quali motivazioni la città potrebbe rifiutarsi di erogarli.
Ed ancora, perché mai al Monte dovrebbe verificarsi il miracolo di una edilizia con livello di finiture e qualità estetica diversi da quelli usuali in città quando a realizzare sarebbero gli stessi soggetti (compresi gli stessi progettisti) e quando il valore di mercato dei beni è comunque simile?
Resta il fatto che il Monte è un luogo splendido ed abbandonato che ha oggettiva necessità di essere rivitalizzato.
E in questo una forte domanda c'è e può essere coltivata. Ma è una domanda che va verso strutture di servizio, di ristorazione, alberghiere, sportive e ricreative.
Tutto quanto si vorrà fare in questa filiera dovrebbe essere supportato ed incoraggiato sia pure con una speciale attenzione per la compatibilità paesistica e ambientale.
Chi opera per sviluppare flussi turistici o ricreativi al Monte merita non solo di poter realizzare le strutture edilizie necessarie, ma, se possibile, un premio ed un encomio.
La vera causa dello scarso interesse verso il Monte è nella sua fisiologica difficoltà di collegamento, che impone ai visitatori di ripercorrere, al ritorno, la stessa strada dell'andata.
Probabilmente una nuova viabilità che consenta di scendere verso Isporosile e quindi verso Siniscola ed Orosei potrebbe aprire flussi oggi impensabili sia al Monte che alla Città perché consentirebbe un effettivo collegamento con le località di mare ed eliminerebbe quella percezione di solitudine e di isolamento che caratterizza il Monte.
Quando, in futuro, si potrà constatare che la domanda di godimento del Monte è cresciuta davvero per effetto dei servizi realizzati, si potrà riaprire una ragionamento verso utilizzazioni residenziali che oggi non sembrano suscettibili, da sole, di cambiarne i destini.
Come si vede vi sono molte ragioni per le quali un nuovo Piano debba nascere ed anzi ci si deve augurare che non sia destinato a durare, immutato, per trenta anni perché la programmazione Urbanistica deve affiancare i mutamenti economici e culturali e non deve limitarsi a fotografarli quando oramai si sono consolidati.
NUMERO /1
Anno 2003, n. 1
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