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ETHOS / OÎKOS
 
La città appartiene anche a me,
non a te soltanto.
Sofocle - Edipo Re

È buona abitudine essere fieri dei paesaggi del proprio paese: non anche degli uomini che lo devastano. Di contrade e luoghi fissati nel sangue, che dovunque andiamo ci seguono da presso. Paesaggi luoghi contrade che ci istituiscono, ci "fondano". Nella memoria e nel senso.
Dimorando altrove, accade ad ogni ritorno di notare che qualcosa di volta in volta è mutato. Sovente, fino al limite dello stravolgimento. Fino al punto da non essere quasi più riconoscibile: non un naturale mutare, che è di quanto sotto il sole ha vita e muore, bensì un artificioso e violento transmutare.
Paradossalmente, allora, è proprio la discontinuità a meglio visualizzare le devastazioni, le violenze e gli stravolgimenti inferti all'Abitare. Ma è normale che accada.
Come normalmente accade che sia proprio l'assiduità, la quotidianità a rendere pressoché inavvertibile nei giorni, lo stillicidio e il lavorìo del tempo sopra un volto... "Le ore che limando vanno i giorni, / i giorni che rodendo vanno gli anni". Assiduità e abitudine velano lo sguardo. Ma è sufficiente allontanarsi un anno perché l'occhio "veda".
Un nostro concreto "sapere", seppellito anch'esso nelle discariche dei rifiuti, impostava in termini semplici una complicata "questione" come l'Abitare:
"Làssa su múnnu komènte l'has konnòttu".
Vale a dire, se non sei in grado di migliorarlo, rispettalo e consegnalo a quelli che dopo di te verranno nelle stesse condizioni in cui a te è stato affidato. Cerca di esserne, quanto meno, un "testimone" corretto. Non un falsario. O un carnefice.
Per i nostri "vecchi", una fonte un albero una casa un campo un abito… erano ancora qualcosa di infinitamente "personale", di intimo.
Un "bene" che ancora aveva a che fare con la memoria, la moralità, il sacro. Che si doveva vivere e preservare come la vita stessa andava vissuta e preservata. Bene da "usare": non da "consumare", mercanteggiare e svendere. Quasi ogni cosa - un utensile, un attrezzo - era un contenitore in cui intravedere rintracciare e custodire l'umano. Il semplice valore d'uso preservava ancora dalle ignominie del mercato e dello scambio: "novità", queste, che ben presto ci avrebbero fatto ballare e cantare la propria musica…
Non sto a rimpiangere chissà quali perdute età nuragiche dell'oro - la condizione umana, dovunque, è stata atroce, sempre -, né intono salmi rancidi al pauperismo e alle toppe-al-culo.
Voglio dire soltanto che dimenticare il passato e delirare sul futuro è il nostro modo, cieco, di vivere il presente. Offuscata memoria.
- E se niente, come usa dire, sarà più come "prima", non piango: constato.
Globalizzandosi, piuttosto che espandersi, il mondo si è via via come contratto, rattrappito.
Dolorosamente, ne scriveva già Rilke in una lettera del marzo 1912. Nonostante questo infame neologismo gli fosse estraneo, era penetrato all'osso delle nostre "sorti progressive". Come prima di lui Baudelaire, come dopo di lui, tra gli altri, Octavio Paz in Confini della modernità.
Diversamente dai santoni di ogni "scienza", i poeti hanno avuto sempre il malvezzo di allungare uno sguardo piuttosto indiscreto sul futuro, ben prima che le catastrofi del futuro stesso ci precipitassero sulla testa… Per quanto sommi sacerdoti e officianti di Economia e Mercato si siano sempre dati da fare, benevoli e pazienti, per persuaderli ad occuparsi delle nuvole di loro competenza. E, per il resto, lasciar fare al Grande Manovratore. Stessero a guardare e zitti…
Ma: abbandonate alle sue mani, le "cose", impoverite e intossicate, hanno finito "chissacòme" col dissolvere sempre più il proprio esistere nella vibrazione del denaro. E nel denaro dispiegano una sorta di spiritualità che oltrepassa la loro stessa realtà tangibile.
- Demolire bellezza per edificare bruttura.
- Rimodellare idee e sentimenti, arte e amore, amicizia e convivenza persone e cose a sua "immagine e somiglianza": cianfrusaglie e arnesi desacralizzati. Già bell'e pronti e finalizzati all'apoteosi del cassonetto, dell'inceneritore e delle discariche urbane.
L'intossicazione da Globalòsi e Mercato non infesta soltanto l'acqua, i fiumi, le foreste.
- Infesta e stravolge anche l'abitare.
Non ho nessuna competenza di architetture o di sociologie urbane. Ancora meno di piani urbanistici.
Per quanto so di Nuoro, dimorando altrove sia pure soltanto "col corpo", conosco il suo attuale "sviluppo" per quel poco o tanto che, quasi preghiera mattutina, ne leggo "a puntate" sui due quotidiani dell'isola. O per quel poco o tanto che, ad ogni ritorno, l'occhio è in grado di vedere.
Sensazioni di spaesamento. Una certa angoscia. Il rumore di fondo della "grande macchina del progresso": pressoché identico a quello che sale da ogni contrada devastata della terra, grazie a una crescita urbana drogata, in balia di se stessa. Un ringhiare compatto e compresso di disagi.
Spaesamento e angoscia. E non per i naturali e inevitabili "segni" o tracce che il tempo lascia sopra persone e cose. Quanto piuttosto per le forse sempre evitabili e non del tutto "necessarie" devastazioni che mani umane vi hanno saputo prodigiosamente consumare.
Così ora so che quel "Monte", che pure appartiene anche a me, è ciclicamente ridotto a roccia calva e cenere. E che tutto il forsennato sventrare e abusivo edificare, sia pure col meritorio e disinteressato proposito di meglio custodirlo e salvaguardarlo da "mani criminali", è riuscito soltanto a impunemente saccheggiarlo. A rendere possibile l'impensabile: che neppure il "thèmenos" di un vecchio altare sfuggisse allo stupro.
Appartenevano anche a me:
- le centinaia di ettari del Mont'Albo calcinati la scorsa estate. Quanti?...
- i novecentomila ettari di foresta tropicale distrutta nel giro di dieci anni… Ma pare che la terra possa continuare a rantolare bene anche con un polmone verde in meno…
E mi appartiene ogni fiume, ogni scoglio, ogni albero, ogni specie animale della terra.
- Abitare, dimorare : smarrito legame di noi col tutto.
Éthos / Oîkos: Etica / Ambiente.
Ci sono parole, come queste, che includono e sintetizzano i concetti ancora meglio delle stesse definizioni. Basta saperle "pensare".
Nel greco antico, l'éthos è strettamente collegato con l'oîkos: l'abitare e la casa, il patrimonio e il campo, la famiglia e la stirpe, il luogo natale e l'essere collocati nel mondo… Ma anche la gabbia e la tomba!
E l'éthos, nella sua doppia valenza - a seconda che sia scritto con la "eta" o con la "epsilon" - non soltanto vi rimanda ma vi si identifica. Così che è uso e buona abitudine, costume e consuetudine: in breve, "mores"…
Allo stesso tempo, è dimora, abitazione, sede e comunità di uomini, natura e istituzione, indole e carattere.
A Nuoro come altrove, e dovunque questo profondo legame tra etica e ambiente, tra moralità e abitare sia andato smarrito, della comunità del legame sociale e della "città ideale" o quanto meno accettabile e vivibile, altro per consolarci non rimane che una tavola lignea di Urbino attribuita al Mantegna.
- E non è davvero molto…
Potrei anche ipotizzare che queste "genealogie morali" continuino a connotarci, forse, meglio di qualsiasi presunta e millantata costante resistenziale. Senza che, peraltro, mai nessuno si prenda poi la briga di precisare appena a chi o a che cosa siamo stati capaci di "resistere". Dal momento che, una volta scoperto che si poteva anche noi in qualcosa mercanteggiare - boschi e coste, patrimonio archeologico e memoria -, ci siamo precipitati a svendere anche il poco sale del fonte battesimale: "vìntzas su battìsimu". A corvi e strigi.
Dimorare altrove, può tra l'altro insegnare a fottersene di mode e luoghi comuni. A tollerare prevedibili levate di scudi e censure ogni qualvolta si affondi uno sguardo impietoso e lucido nelle ferite della propria terra. Che davvero poche e superficiali non sembrano...
Quello che continua a succedere - il "destino", il "disegno" di cui tanto si lacrima - non è altro che la somma dei nostri comportamenti: salvo non volerne riconoscere la responsabilità.
Se responsabilità ci sono, sarebbero pur sempre imputabili ad "altri". E poiché non è in fondo così gratificante, non sono molti a voler vivere ad occhi aperti, a voler "vedere".
Così, come cipolle, ci sfogliano i giorni. Fino a che tutto si riduce a nulla: devastazione e bruttura.
Becerùme, arroganza, volontà di prepotere, di consumare illegalità senza renderne conto a nessuno, né alla giustizia né ancor meno agli "altri", diventano anche a Nuoro costume di vita: lottizzazione, appropriazione abusiva, saccheggio… A dirla con Canetti, "il cretino si è impadronito della catastrofe".
Diventano cecità al brutto, all'orrendo: violazione e collasso di un tessuto urbano cresciuto in cancrene e metastasi. Solotti, Testimonzos e via devastando, come si trattasse di eventi pressoché insignificanti, sempre hanno portato a perdoni e condoni e sanatorie di una reiterata e proterva rapacità da galera.
Quanto al "mondo politico"… che fa questo sontuoso mondo?
Quello che da sempre è stato in grado di fare. Entrare in fibrillazione e - quale novità! - approntarsi a scegliere "piani di risanamento"… Capirai, le risate.
Responsabilità, passate o presenti che siano: ovviamente,nessuna. Come sempre è la malasorte e il destino a farsi di tutto e di tutti trastullo.
Così, mentre nulla sarà più come prima, tutto continuerà ad essere esattamente come ora.
Ma tu, proprio tu, preso sempre per il culo, da politici e "intellettuali", ascolta appena una volta il sognatore di nuvole e:
…"ora che più nessuno sa
chi ucciderà e come finirà,
prendi il bambino che la luce vide
sotto le foglie di quel platano
e insegnagli a meditare gli alberi"…
NUMERO /1
Anno 2003, n. 1
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