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Cosa è rimasto di Mani Pulite?
 
Non è che in questo paese si è cominciato a discutere di legalità e di giustizia per una voglia di grandi discussioni filosofiche, ma perché, (a partire dal febbraio 1992) si comincia a scoprire a Milano l’estesa corruzione che inquina i rapporti tra politica, amministrazioni locali e nazionali, corpi militari dello stato e mondo produttivo. Se il bisogno di cambiamento era stato finora latente, ecco che riceve un’improvvisa accelerazione dovuta all’ondata di sdegno popolare che porterà poi all’allontanamento di buona parte della nomenclatura politica e di un piccolo, ma significativo, numero di imprenditori. Quell’inchiesta non ha messo in luce soltanto gravi episodi di corruzione ma ha affondato le mani in un vero e proprio sistema codificato e capillarmente diffuso, che andava a toccare anche le strutture di controllo che la corruzione avrebbero dovuto combattere.
Quei Palazzi di giustizia fino a non molto tempo fa chiamati “porti delle nebbie” e “palazzi dei veleni” si animano di una magistratura che finalmente si è svegliata fino a diventare protagonista (con i partiti nel ruolo di comprimari) del terremoto che ha sconvolto la storia italiana recente.
Tutti ricordiamo gli inviati dei telegiornali perennemente sotto il Palazzo di Giustizia di Milano, gli arresti dei corrotti, le monetine tirate a Craxi, le immagini dei processi in diretta televisiva: la bava di Forlani, soprattutto. Quella secrezione bianchiccia che si forma ai lati della bocca. Uno che era stato uno dei potenti, degli intoccabili, e che si è ritrovato smagrito e con la bava di fronte a un tribunale e in diretta televisiva.
È stato un rito sanguinario, come vogliono alcuni detrattori del pool di Milano, riferendosi ad alcuni suicidi eccellenti? No, non lo è stato, i giudici hanno semplicemente applicato le leggi e lo stordimento collettivo era dovuto forse al fatto che non ci eravamo molto abituati. Ma non è stata nemmeno solo cronaca: quello che si è svolto è stato un vero e proprio rituale di autopurificazione collettiva al quale non è s?eguita, però, una vera espiazione, nel senso che molti hanno dimenticato che i benefici, ampiamente “erogati” a pioggia da questa classe dirigente che cercava di accontentare ogni richiesta, erano stati per decenni ben accetti.
Secondo alcuni l’Italia era ammantata da un grande velo d’ipocrisia che portava a definire regole e leggi che si sapeva già non sarebbero state rispettate, movendo dalla tacita intesa che ci sarebbe stata assoluta solidarietà nel delineare le procedura e i comportamenti a violazione di quelle stesse regole.
Che significa, allora? Tutti colpevoli e quindi tutti innocenti? È questa la sentenza pronunciata dalla storia e accolta dai cittadini italiani? Non è rimasto proprio niente della fame di legalità di quel periodo?
Viene il dubbio che sia così. Facciamo il punto della situazione. A dieci anni di distanza dall’inchiesta dei giudici di Milano che cosa ci resta?
Uno striscione con su scritto “la legge è uguale per tutti”, fatto volteggiare sul Senato e su casa Previti da un aereo preso in affitto da un gruppo di senatori dell’Ulivo capitanati da Nando Dalla Chiesa (fratello della più famosa Rita);
un’enorme quantità di “leggi-vergogna” (legge Cirami, falso in bilancio, etc.) che hanno come scopo più nobile la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale e la divisione delle carriere dei magistrati e come fine ultimo la risoluzione dei problemi giudiziari di un numero imprecisato di abitanti del Parlamento e del Governo italiano;
la richiesta, da parte di “4 membri laici di centrodestra del Csm” di trasferire d’ufficio per incompatibilità ambientale il Pm Ilda Boccassini dopo che quest’ultima ha parlato di apparato militare costruito dagli imputati per corrompere i giudici, nel processo Imi-Sir.
Non è un quadro confortante. Certo, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a protestare, si sono prese per mano e hanno cominciato a girare attorno ai Palazzi del potere e a riempire i palavobis perché gli sembrava quantomeno strano che uno si facesse le leggi a propria immagine ?e somiglianza. Deve essersi fatta strada nel loro cervello l’idea balzana che le leggi non devono essere come le ragnatele, che i forti le sfondano e i deboli ci restano impigliati.
Ma questo è uno strano paese in cui la gente vuole il poliziotto di quartiere, le strade ripulite da immigrati e prostitute e la tolleranza zero verso il crimine ma poi ti vota uno che ha quattordici (dico quattordici di numero) processi in corso per reati tipo corruzione, concussione e falsa testimonianza; gente a cui la giustizia sembra interessare solo quando si tratta di efferati delitti e i processi si svolgono in prima serata da Porta a porta. Qui da noi uno come Carlo Taormina può andare in televisione a dire che conosce il nome dell’assassino di Cogne, ma gli mancano ancora le prove, definirsi un “garantista” e non beccarsi neanche una pernacchia.
Chiudo con una edificante scenetta. A Cagliari, nel cinema Sant’Eulalia, hanno trasmesso il filmato della piece teatrale di Marco Paolini “2004: Odissea nel Processo” rappresentata il 19 settembre a Roma. L’iniziativa è stata della sezione sarda dell’associazione magistrati. L’attore immagina il nuovo processo secondo le leggi Cirami e Pittelli, con una lunga sequenza di rinvii pretestuosi che impediscono al giudice di svolgere il suo lavoro e garantiscono l’impunità dei potenti.
Sembra che, confuso tra gli spettatori, ci fosse anche l’avvocato Francesco Onnis, deputato di spicco di Alleanza Nazionale e che quest’ultimo abbia commentato:«È una barzelletta, simpatica barzelletta».
Sono banale se dico che è divertente?
NUMERO /4
Anno 2002, n. 4
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