Il problema, oggi, assume caratteri inediti e ancora più inquietanti: ad essere investito da quest’onda lunga di inaudita violenza è proprio il mondo dei giovani.
Da tempo i professionisti del soccorso verbale, i nuovi sciamani mediatici, con fare soft, si esibiscono, seduti nelle comode poltrone degli studi televisivi, nella spettacolarizzazione dei drammi e del dolore, mentre la barbarie attanaglia sempre più la nostra vita quotidiana.
L’illegalità, nelle sue varie manifestazioni e sfaccettature, appare così saldamente radicata nel tessuto sociale che trova spesso anche nella politica nicchie di legittimazione, in quanto ritenuta necessaria (per essere veloci, cfr. Storia d’Italia dopo il ’45).
Pertanto la nostra Italia, complessivamente, appare come un paese senza: senza tessuto civile globale e diffuso e senza legalità, che si manifesta nella tolleranza per omertà, per interesse, per indifferenza, per rassegnazione, per noia, ecc.
Che fare?
Credo sia prioritario ricostruire un’idea diffusa di società e di Stato e che deve poggiarsi proprio sul ruolo della legge. Senza inutili pedagogismi ciò deve essere portato avanti da molte agenzie: scuola, chiesa, associazionismo e informazione, in modo da avere qualche probabilità che si riesca a costituire poli di aggregazione sociale, sempre più estesi, intorno a una cultura, appunto quella della legalità.
In quanto luogo di tutti e per tutti la scuola viene considerata da molti strumento indispensabile nella sua funzione di formazione alla cittadinanza legale e democratica oltre alla trasmissione dei saperi.
Questa scuola è però all’altezza del compito?
Ad essere sinceri ed onesti non si può non riconoscere che oggi la scuola è un luogo in cui si condensa troppo malessere psicologico e non solo.
È cambiato radicalmente lo scenario nazionale e internazionale dell’educazione, per cui la cultura della scuola è invecchiata dappertutto e di colpo e il nostro sistema educativo, a differenza di altri, non se n’è ancora accorto.
L’inconcludenza riformatrice è soprattutto l’esito di uno scollamento tra i tre poteri: quello legislativo, ossessionato dalle spinte corporative e dalla seduzione delle forze sociali e culturali esterne al Parlamento; quello esecutivo, paralizzato dalle divisioni interne sulle diverse proposte e dalla scarsa competenza in materia; quello amministrativo, ripiegato nella difesa dell’esistente e nei calcoli opportunistici di corto respiro. Gli studenti sono percepiti come un accessorio ingombrante di cui ci si ricorda solo al manifestarsi dei conflitti.
I nodi sono arrivati al pettine: sta per esaurirsi quella fase in cui la scuola ha assunto una funzione di vera e propria stazione di parcheggio per i giovani.
In attesa di…
L’elemento più preoccupante è rappresentato dal riacutizzassi del carattere sociale dei processi di selezione e di esclusione dai percorsi formativi, oltreché dagli sbocchi lavorativi.
Non è azzardato definire il sistema formativo italiano come il terreno per l’affermarsi e il perpetuarsi delle principali dimensioni della disuguaglianza. Riconoscere che in questo momento la scuola è essa stessa fonte di disagio e di malessere, può essere utile per una seria ricerca di senso per quanto attiene al suo ruolo e alle aspettative che crea.
Pertanto prioritariamente bisogna rivendicare un cambiamento di rotta nelle politiche del governo, in termini di scelte chiare e coerenti per la qualità dell’offerta formativa che sia capace di offrire a tutti le opportunità per realizzare se stessi e le proprie aspirazioni. Ecco perché, oggi, il nostro sistema formativo si deve sciacquare nella scuola della legalità.
