Torno a Nuoro sempre più di rado. Per tanti motivi. Perché è lontana. Perché ci vogliono tempo e soldi. Perché il lavoro si fa sempre più intenso, il tempo è sempre di meno e i soldi sempre pochi. Ma più che i motivi per i quali non ci si torna vale la pena riflettere su quelli per cui si dovrebbe tornare. Perché ci si è nati. Perché c'è la famiglia. Perché quelle strade piccole e contorte, quelle panchine, quei negozi, recano tracce di noi, impronte indelebili. In una parola, ricordi. E allora, in una mattina limpida, è bello uscire e camminare per quelle vie, attraversare certi incroci, passare sotto certe finestre, sentire sotto i piedi il lastricato del Corso. E il corpo gode della sua memoria, perché dopo i primi passi non c'è più bisogno di guardare per terra per non inciampare tra una lastra e l'altra. E poi, quelle case ancora in costruzione fanno pensare che rimarranno incomplete per sempre e allora viene voglia, ogni tanto, di tornare e vedere a che punto sono. Ma forse uno si confonde e quelle case sono altre, nuove costruzioni, non quelle che ricordava. Perché la città cresce, si espande, cambia. Come la sua gente. Ma uno che ci torna poco potrebbe pensare che non è così, che tutto rimane uguale e che se cambia, cambia in peggio. Uno che è andato via da Nuoro a 18 anni e ci torna più di dieci anni dopo di amici lì ne ha pochi e se li incontra per strada rischia di non riconoscerli. Perché sono ingrassati. Perché hanno molti meno capelli. Perché hanno sguardi diversi. Sguardi nei quali si potrebbe avere paura di specchiarsi, perché vorrebbe dire fare i conti con il tempo, con le promesse dell'adolescenza che la maturità raramente mantiene. La sto facendo tragica, lo so, e non è mia intenzione. In realtà, quando incontri un vecchio compagno di scuola, uno che non vedi da tanto, è come attraversare una soglia spazio-temporale che ti conduce altrove per tutto il tempo della conversazione. Scopri così che alcuni si sono sposati e hanno già tre figli, altri sono laureati e hanno intrapreso carriere che non avresti mai detto, altri nessuno li ha più visti. Tu sei tra quelli, in fondo, e ti viene voglia di mentire. Così, senza motivo. Di raccontare all'altro una vita che non è la tua, o magari una molto simile, ma omettendo o modificando certi particolari. Eppure non hai niente di cui vergognarti, niente da invidiare a nessuno di loro. Poi saluti, non chiedi nemmeno il numero del cellulare, tanto sai che non vi sentirete, e ti allontani, superando nuovamente la soglia spazio-temporale, senza voltarti. Ed è già ora di pranzo. Ti incammini verso casa, felice. Perché Nuoro è anche un pranzo caldo che ti aspetta a una data ora, mentre il posto dove passi il resto dell'anno è un pezzo di focaccia consumato in metropolitana. Allora apri il portone, prendi l'ascensore e entri in casa. Senti l'odore del cibo, saluti, poggi il giornale e vai in bagno a lavarti le mani. E prima di sederti a tavola guardi fuori dalla finestra. Osservi i ragazzi che escono da scuola, la tua stessa scuola, guardi il campo sportivo, quello dove andavi a correre, e vedi qualcuno che si allena. Più in fondo, le montagne, azzurre come il cielo. Così apri la finestra e rimani ad ascoltare. Chiudi gli occhi e ti concentri sui rumori che vengono dalla strada. E basta questo, un istante, per farti pensare che non te andrai più. O che forse non te ne sei mai andato.
