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Quando la grandezza cade su se stessa
 
Scrive Salvatore Mannuzzu nel suo saggio "Finis Sardiniae (o la patria possibile)", pubblicato nel volume dell'Einaudi "Le Regioni. La Sardegna": "La Sardegna sconta il suo castigo, la punizione di essere se stessa…; quel poco di letteratura che si è fatta è letteratura regionale. Forse non è un caso che i massimi risultati abbiano l'epicentro a Nuoro ("Atene della Sardegna"). Letteratura regionale, esplicitamente o implicitamente; e può trattarsi d'un ostacolo che ci si mette davanti, per sbatterci la faccia, o, più di rado, d'un rimorso che si porta dentro, inconfessato, di cui non si vuol sapere nulla, che durerà tutta la vita: un lutto che non si elaborerà mai".
Credo che Mannuzzu (forse uno dei pochi intellettuali, insieme a Brigaglia, che agiscano in Sardegna come ogni intellettuale dovrebbe agire, cioè come seminatore di dubbi, di domande) abbia nella sostanza ragione. Non può infatti esistere un'Atene se nelle vicinanze c'è il deserto, perché Atene è centro, in grado però di recitare al meglio il suo ruolo solo se attorno vi è un reticolo di sub-centri che si fanno anch'essi promotori di cultura e di intelletto. In Sardegna è così?
Certo dal punto di vista della letteratura abbiamo avuto molti episodi interessanti e di spessore. Ma quanti dei nuovi scrittori si rinchiudono all'interno del recinto della sardità e vi si fanno imprigionare, evitando di guardare all'esterno? Perché insomma ci si vuole provincializzare a tutti i costi? Perché se uno scrittore utilizza il proprio codice lingua, sicuramente innovativo, tutti si sentono obbligati ad imitarlo? Non è necessario, infatti, voler essere per forza Sergio Atzeni. Al contrario, invece, alcuni giovani scrittori vivono il loro essere sardi come un peso, credendo che la loro sardità sia un fardello di cui si deve fare a meno per assurgere alle vette dei premi letterari e delle terze pagine magari dei quotidiani nazionali.
La verità è che in Sardegna oggi non si riesce a produrre cultura. Non vi riesce l'università, troppo spesso incapace di andare oltre la sua funzione puramente accademica, a discapito della capacità di essere laboratorio e fucina di idee in grado di stimolare la ricerca, di far crescere gli studenti; e non basta nemmeno la volontà di quei docenti che vorrebbero aiutare i loro allievi a divenire operatori di cultura, quando questi professori troppo spesso sono imprigionati dalle maglie della burocrazia. E certamente non riesce a far cultura la politica, tutta la classe politica e, spiace dirlo, quella di sinistra in particolare (che per la sua storia ha sempre dato molto al dibattito e alla discussione culturale in Sardegna, specie per quanto riguarda la questione autonomistica). Ma non è tempo di intellettuali, questo, per la sinistra sarda; a Gramsci si preferiscono "i geometri" e con questo non mi riferisco certo a chi esercita questa nobile professione, ma ai "geometri" così abili a parcellizzare gli incarichi di dirigenza in base alla fantomatica "quota territorio", sacrificando spesso sull'altare della loro mediocrità chi ha il torto di far politica perché la vive come un serio impegno civile. E come può esserci un'Atene quando da troppo tempo mancano riviste di cultura in grado di porre domande, di far riflettere, di proporre soluzioni? Nessuno ci ha pensato, forse perché qualcuno crede che un posto in cui si possa dibattere liberamente, senza eccessivo ossequio verso le direttive di qualche segreteria o direttivo regionale, sia in realtà uno spreco di carta. E certamente bisognerebbe aiutare di più le case editrici, promuovendo l'edizione di nuove collane e di nuovi autori.
È evidente, quindi, come non ci sia bisogno di un Socrate o di un Platone per edificare Atene: bastano lungimiranza, senso dello Stato, serietà, riflessione. O forse qualcuno pensa che si possa far cultura col piccolo cabotaggio? E perché nessuno riflette sul fatto che i giovani sardi che non hanno mai visto un ateniese in Sardegna, ma solo il deserto di idee di questi ultimi quindici anni, rischiano di crescere impoveriti per sempre, incapaci di trasmettere il più piccolo barlume di una vera cultura dell'autonomia alle future generazioni?
Il poeta latino Lucano, nel suo capolavoro Farsaglia, ha scritto: "La grandezza cade su se stessa, così gli dei delimitarono lo sviluppo della prosperità umana". Se è vero che la grande stagione autonomistica ha ormai da tempo esaurito la sua funzione e il suo spirito, è altrettanto probabile che in questo quadro non esaltante del mondo culturale sardo di oggi vi siano delle fiammelle di speranza, a cui si può rivolgere lo sguardo con fiducia. Se è vero che la storia è anche un flusso di eventi che si possono anche ripetere, possiamo sperare che qualcuno voglia prima o poi ricostruire anche delle piccole Atene nella nostra isola.
NUMERO /2
Anno 2002, n. 2
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