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Vestirsi di cemento o vestirci di stelle?Progettare con la gente la città del duemila
 
La città é luogo di follia collettiva, é luogo di anonimato, di emarginazione e di solitudine, o al contrario luogo di passioni e di felicità incontrollate, bagni di gente, esaltazione e notorietà.
Quando si parla di città viene alla mente, inevitabilmente -(in una immagine che ricorda il mito del dolore e del piacere legati tra loro per i capelli e perciò imprescindibili)- la campagna, quale suo specifico antagonista. Se cosi non fosse, visto che l’una esiste perché esiste l’altra, non avrebbe senso teorizzare di città a dimensione umana, e vagheggiare la campagna come unico luogo di equilibrio biologico e mentale. Il problema non sussisterebbe, perché non avremmo confronti da fare. La scissione tra città e campagna, nelle attuali accezioni dei termini, risale all’epoca romana, ma torna ad avere pieno significato economico, politico e sociale nel medioevo. Il divario tra queste due "entità" quasi metafisiche si é andato via via approfondendo, fino a diventare incolmabile e incontrollabile. Nel contempo, la commistione tra urbano e rurale é ormai avvenuta sotto molteplici aspetti a cominciare dall’acqua e dall’aria inquinate delle città che si diffondono nell’ambiente circostante, per finire con le autostrade, le strade ferrate, le auto, i prodotti industriali in genere, e quanto altro sia possibile immaginare e quanto altro di inimmaginabile passi dall’uno all’altro di questi mondi, in un’osmosi infinita...
Che dire? troppo facile e troppo banale chiedere che la città rispetti l’uomo che l’ha costruita e che non ne fagociti esigenze e aspirazioni fino a renderlo simile ad un automa senza energie. Troppo facile e anche in contraddizione, in quanto é l’uomo stesso che ha reso la città quale oggi essa é.
Certo, non l’uomo comune, l’uomo della strada che subisce con passività una situazione impostagli da altri. E’ l’uomo politico, l’amministratore della "res publica", il creatore di città. Quale compito più arduo, affascinante, intrigante e remunerativo di questo? I creatori di città realizzano sogni di potere e momenti di Gloria quanto nessun’altro mai. Arbitrano su strade e fognature, su tralicci e viali alberati, su volumetrie e superfici coperte, su tessuto urbano e zone verdi, su standards minimi e indici vari. Disegnano e fanno disegnare tipologie edilizie, complessi abitativi, assi attrezzati, eliporti e piscinedivialazio; megaprogettano, insomma... e l’efficacia di questo neologismo sembra esprimersi con compiutezza proprio alle nostre spalle.
E noi uomini della strada, quali strumenti veramente validi potremmo adoperare per ovviare a questo stato di cose? Come potremmo intervenire in questo "affaire"?
Dovremmo soltanto poter chiudere gli occhi e immaginare... Soltanto riuscire ad ottenere per il semplice fatto di sognare... Soltanto cercare di pensare ciò che invece desideriamo vivere... In fondo, parlare di una città a misura d’uomo è come parlare di Utopia, o di Aphania, o di Purpurea, o di Entelechia. In fondo, e come parlare di un luogo fantastico... La città a misura d’uomo è una contraddizione in termini: già essere una città le impedisce di essere a misura dei suoi abitanti. Vorrei riuscire a dire che forse una città in cui ognuno abbia ciò che gli spetta, in cui i bambini possano giocare e i vecchi passeggiare e gli innamorati guardare le stelle (e cos’altro?) e tutti gli "altri" fare i fatti loro senza necessariamente stare a guardare, in cui funzioni tutto ciò che si paga come funzionante, ecco, questa sarebbe già una città a misura d’uomo. C’è poi da capire che cosa si intende per misura d'uomo... quale uomo? Ognuno di noi avrebbe il diritto di essere preso come modulo per costruire una città. Ognuno di noi certamente saprebbe ciò che vorrebbe da una città, così come saprebbe certamente, se richiestogli, ciò che vorrebbe da un partner con cui lavorare, o giocare o spassarsela su una barca a vela nel atlantico... non é cosi? Il problema è naturalmente teorizzare di una città che sia, per paradosso, a misura di tutti gli uomini, ovvero una città democratica. Ma se pensiamo all’etimo della parola, dovremo convenire che non sarà mai data una città a misura d’uomo.
Parrebbe a questo punto anche inutile il continuare a parlarne. Però... qualcosa è possibile fare anche a partire dal basso. Anzi é proprio l’uomo della strada che potrebbe, con vari mezzi che non stiamo qui ad enumerare, incidere sulle scelte urbanistiche della giunta che lo amministra. Qualcosa é stato già fatto quando nell’inverno scorso questa giunta ha convocato in un’assemblea pubblica la cittadinanza per presentare alcuni dei progetti riguardanti il centro storico commissionati dal comune a professionisti esterni.
A mio modesto parere forse sarebbe stato il caso di presentare prima alla popolazione dei quartieri interessati una proposta di intervento, e stare a sentire, dopo averne effettuato una selezione, le eventuali controproposte che fossero scaturite dal dibattito tra i cittadini. Credo che Nuoro sia un comune dove sia ancora possibile, per certi versi, esercitare una sorta di democrazia diretta. Stimolare il pubblico a prendere parte alle decisioni del governo, indirizzandone alcune scelte, e sopratutto quelle che più da vicino riguardano il benessere dei cittadini; far prendere corpo e forza a tutte quelle lamentele che serpeggiano a mezza voce tra la gente, come uno stato di malessere mal celato che poi si riflette in una protesta silenziosa nelle elezioni in parte disertate; rendere partecipe il cittadino degli atti e dei fatti del governo che lui stesso ha scelto... questi ed altri ancora sono i modi per confrontarsi con il pubblico, partecipe e corresponsabile di alcune scelte, inserirlo nel palazzo a pieno titolo, fargli vivere la sua città da protagonista e non più da vittima.

(fine 1a parte)
NUMERO /1
Anno 1990, n. 1
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