Cristolu, il prete bandito dell’ultimo, omonimo, romanzo di Niffoi non fa eccezione. Così arriva un romanzo e ci riporta indietro, ad una Sardegna quasi feudale, seppur ben lontana dal tempo storico reale, e ci riporta echi di altri romanzi con l’escamotage del manoscritto ritrovato di cervantiana memoria, con un parroco dai tratti manzoniani ma che si riscatta e agisce contro i prepotenti, all’interno e all’esterno della Chiesa, restituendo ai suoi parrocchiani la memoria di un cristo che non si immola, di una vittima che reagisce, e consegnando agli oppressori la vergogna della loro arroganza.
Cristolu è un romanzo che potrebbe essere descritto come la cronaca di una faida, consumata in due riprese, in due epoche diverse e con diversi mezzi: Cristolu vendica la morte della sorella, il padre dell’assassino vendica il figlio, Don Frunza vendica la memoria dell’ingiustizia; potremmo vederlo come il racconto edificante di un delitto a dimostrazione che il crimine non paga: Cirallu muore perché uccide per avidità sessuale, Cristolu muore perché uccide per vendetta, i discendenti di Cirallu muoiono perché non vivono diversamente dai loro antenati; potremmo parlarne come la storia delle ribellioni possibili: quella di Cristolu contro gli oppressori, quella di Filina contro i suoi stessi familiari, quella di Don Frunza contro i suoi superiori ecclesiastici, quella dei parrocchiani contro i possidenti.
Potremmo perché è anche tutto questo. Ma forse ci farebbe pensare più ad un racconto orale da narrare davanti a su fochile se Salvatore Niffoi non avesse scelto la parola scritta per consegnarci altri suoi personaggi ferrigni, ruvidi e caldi come le coperte di orbace che li proteggono negli inverni nevosi della Barbagia.
E in fin dei conti Cristolu è anche un racconto orale, quello narrato dal pulpito della parrocchia da Don Frunza, per risvegliare la fede in una chiesa che attraverso il suo parroco sceglie di schierarsi con gli oppressi e non con gli oppressori.
Le storie di Cristolu e Don Frunza si avvolgono e si districano fra i monti della Barbagia, tra Oropische e Noroddile, toponimi più verosimili di quelli reali, in un’ambientazione geografica precisa e antitetica rispetto a quella temporale. Mentre il tempo è quello letterario, senza confini perché sempre attuale, ed infatti i prepotenti del passato di Cristolu e quelli del presente di Don Frunza sono sempre gli stessi, il sito non può che essere quello della Sardegna barbaricina perché profondamente barbaricini sono i personaggi, i loro sentimenti e la loro lingua, incastonata nell’italiano dalle forti tinte niffoiane.
Se Melampu Camundu, protagonista del Postino di Piracherfa, ci aveva intenerito con la sua sciatteria, o nonostante questa, Cristolu, questo frate bandito, la sua morte così simile ad un martirio, le sue parole sagge e la violenza dei suoi gesti, ci costringono a pensare.
La sua eredità è un quaderno, è la sua stessa storia, capace di trasformare un pavido parroco in un coraggioso pastore di anime, e la sua ribellione impossibile consegnata alle parole diventa infine il riscatto possibile dei suoi compaesani.