Il padrone tziu Antoni, stanco di una vita in comune, pur di tenerlo lontano dalle sue faccende, lo aveva lì relegato, con la speranza di cambiarne il carattere e le abitudini.
Infatti l’animale, non si sa per quale sua particolare indole riusciva a fargli cambiare idea su decisioni fondamentali di vita e di lavoro. In fondo, e questa era la vera rabbia, la Didattica dell’animale gli pareva ovvia e naturale.
La solitudine è sempre motivo di grave ignavia per l’uomo. Per l’animale quell’uomo era un vero rebus. Lo trovava pieno
di problemi irrisolti e per quanto cercasse di trarlo fuori dalle sue esagerate preoccupazioni, lo vedeva allontanarsi insoddisfatto. Alla faccia del vanto che menava del rispetto e della dignità.
Lui era un Asino, si, ma di classe. Senza contare che solo grazie all’Animale, tziu Antoni aveva smesso di sbevazzare.
Per sé poco male! Certo come Asino nessuno gli riconosceva granché e stare in quel chiuso con erba abbondante e l’acqua nel vascone a portata di muso, non gli dispiaceva. Gli mancava il buon vino, di cui non sentiva da tempo nemmeno l’odore, condizionato com’era dalle abitudini di tziu Antoni, da quattro mesi in astinenza.
Non poteva infatti bere vino essendone privo il padrone. D’altronde come poteva procurarselo? Ci sarebbe stato da ridere a veder entrare un Asino in cantina a comprare vino. Brava gente, ma sempre zotici e retrogradi!
In verità, Tziu Antoni, convinto che un Asino, dovesse - “gustarsi” - solo di biada e che fosse disdicevole e sprecato fargli assaggiare il frutto della vigna, esclusivo piacere della razza umana, il vino ce l’aveva e come! Lo portava su di nascosto un suo degno compare, dentro le brocche normalmente colme dell’acqua fresca di montagna.
“Vi ho portato l’acqua della fonte!” - gridava e sparivano insieme nel casolare. Cosa ci facessero li dentro chiusi tutta la sera, questo per Murri Nieddu, che si sentiva trascurato e geloso, era un mistero. Cantava, in quelle notti Tziu Antoni, in maniera sgraziata e riprovevole. Brutta rogna l’astinenza!
All’alba di un giorno successivo a quelle visite, Tziu Antoni, la testa ridondante e confusa, rimuginando i punti fermi della discussione avuta nella veglia con il compare si incamminò verso il recinto dell’Asino, tenendo sulla spalla una brocca.
Immerso in quei pensieri, fuori di senno per la pesante sbornia, ciarlava a voce alta come suo solito, senza rendersi conto di avvicinarsi all’Asino. “Oggi tocca” Assidare”, procurare rami freschi per il bestiame, bella fatica mi tocca! Farà sicuramente caldo, è meglio che lasci questa BROCCA di VINO al fresco nella vasca d’acqua, così non bollirà al sole di mezzogiorno e mi potrò gustare un “dolce richiamo”, al mio rientro!”.
Murri Nieddu, mentre il padrone si allontanava, sentì come una fitta al cuore! Tradito, per l’ennesima volta, Gabbato! Il verde e ricco pascolo del chiuso gli parve all’improvviso come un arido deserto! Era li non per amore e simpatia, ma isolato volutamente in una prigione dorata.
Il suo compagno preferiva a lui il compare. Ecco cosa succedeva in quelle notti. Luride bardane di vino. Sbornie saporite e ciarliere a lume di candela, ma, senza Murri Nieddu.
Sconsolato si avvicinò alla brocca, tolse con i poderosi denti il tappo, la piegò e con pieni e prolungati sorsi trangugiò in un baleno tutto il vino. Oh, meraviglia dell’arte umana! Salutare elemento della Vita! Felice approccio di “soverana virtude”! Come poteva un amico fraterno ridursi in quello stato senza fargliene parte?
Vile mercenario, nefando essere di montagna e giù epiteti a ragli tesi contro tziu Antoni.
Avendo perso l’abitudine al bere vino, in breve, l’Asino dondolò, incespicò, barcollò e con un soffice tonfo della pancia si piegò sulle zampe, e li rimase. Il campo roteava di fronte ai suoi occhi.
Erba, fiori ed asfodeli ondeggiando paurosamente si chinavano a consolare la svergognata afflizione dell’asino, quasi fosse un nuovo arrivo tra le tante specie di piante e di cespugli che sbocciavano in quel periodo. In preda ad una incontenibile ebbrezza, Murri Nieddu, lusingato dalla tenerezza dei fiori che lenivano con le loro movenze di saluto il grande vuoto procurato dalla lunga solitudine, rispondeva felice a tutti con un “Salve, salve!!” - A mò di Fiore scuoteva la grossa testa e piegava al vento le lunghe orecchie. E, non riuscendo a muoversi dal suolo, si convinse di aver posto radici e di essere diventato un fiore. Il vino era la magica pozione che aveva generato la nuova vita.
“D’ora in poi sarò il Fior d’Asino! – sentenziò - alla faccia del mondo e del padrone”.
Vi è un unico Asino che ha creduto di poter essere un fiore, è il mio e si chiama Murri-Nieddu. Quella notte per riuscire a trasportare le frasche ho dovuto innaffiarlo con vino d’annata.
Mio compare si chiede se con quello ci faccia il bagno, data la quantità che pago e a causa del puzzo che emano da ogni poro. Infatti, a “dolu mannu”, dopo averlo abbracciato, me lo verso addosso, il Vino, per far felice l’Asino.
Lo ho convinto che traggo vigore e forza dal nettare d’ambrosia di Fior d’Asino e acconsente al lavoro. È vero sono un pazzo! Non berrò mai più il vino e neppure lui. Questa è la sorte!
Un consiglio però te lo voglio dare: “Stai lontano dal vino. Se fiorisce, finirai per avere un Asino per Amico!”.