Gianmarco Serra, di origini sarde, dopo la laurea in Giurisprudenza, segue il tirocinio come cameriere nei bar olandesi e di New York. Da due anni è consulente della trasmissione Rai La storia siamo noi.
Frutto della loro collaborazione è il libro Professione reporter (EFFATÀ EDITRICE / L.14.000) che si articola in sette capitoli (Professione reporter. Informazione e interessi economici. Il potere della stampa. L’inchiesta e le fonti. La televisione. Essere o apparire. Libertà d’informazione o censura) e trentatré schede di film che hanno come protagonista l’informazione.
“Ma il principio del giornalismo rimane semplice: dobbiamo essere onesti nei nostri giudizi e veritieri nei nostri reportage. Un muro […] è innalzato per proteggere noi che facciamo il giornale anche dalle influenze aziendali” («Time», 24 gennaio 2000, in occasione dell’operazione Time- Warner- Aol). Il film Insider.
Dietro la notizia evidenzia molto bene la doppia natura dei media che sono contemporaneamente uno strumento di formazione dell’opinione pubblica e un prodotto industriale da vendere sul mercato. La stampa, per sopravvivere e continuare a svolgere le funzioni che i cittadini pretendono, deve infatti ottenere dei profitti. D’altronde i mezzi d’informazione sono imprese in concorrenza tra loro nel vendere al pubblico il proprio prodotto, la notizia, che per essere appetibile deve essere attendibile, oggettiva, imparziale e vera.
La correttezza dell’informazione è assicurata proprio dalla pluralità delle fonti e dalla concorrenza dei media: col tempo il successo editoriale premia le pubblicazioni caratterizzate da maggiore professionalità e indipendenza di giudizio.
Una grande attenzione, dunque, deve essere posta alla qualità e all’affidabilità dell’informazione, poiché il successo di mercato dipende dalla fiducia del pubblico.
Per usare le parole del protagonista di Insider, il giornalista Lowel Bergman: “Alla fine di tutto, un giudizio verrà emesso dall’opinione pubblica.
Ed è questo il grande potere che ha in mano”. La sfida è mantenere una assoluta credibilità, lealtà e indipendenza nel trattare le notizie, comprese quelle che incidono sulla proprietà del giornale stesso. Sfida diventata in questi ultimi anni più ardua: gli interessi economici che si collegano alla proprietà dei giornali sono sempre più numerosi e complessi a causa soprattutto delle fusioni, alleanze e incorporazioni che ultimamente hanno interessato i grandi gruppi attivi nel campo dei contenuti dell’informazione.
Lo scenario si fa sempre più inquietante: è della fine del 1999 l’accordo tra la Washington Post Company (editrice dell’omonimo quotidiano e del settimanale «Newsweek»), il network Nbc (di proprietà della General Electric) e il canale via cavo Msnbc, del quale è partner la Microsoft. Immaginate l’imbarazzo dei redattori quando dovranno scrivere del colosso energetico americano o della società di Bill Gates.
Per non parlare dell’acquisizione della rete televisiva Abc da parte della Walt Disney o della fusione tra il gigante Internet Aol (America on line) e Time-Warner, primo gruppo multimediale del mondo, che controlla la più importante major di Hollywood ed è editore, tra gli altri, dei settimanali «Time» e «People», della Cnn e del canale a pagamento Hbo.
A partire da un fatto di cronaca che ha fatto epoca, il film di Michael Mann mette in gioco temi come l’etica dei media e del capitale e mostra come la logica aziendale possa interferire con l’obiettivo d’informare sulla logica dei fatti. Bergman è un giornalista intraprendente e pronto a tutto. Il suo mondo è quello veloce dell’informazione televisiva d’assalto: 60 Minutes, programma di punta della Cbs famoso per le sue interviste d’attualità.
Quando si trova davanti un ricercatore pentito di una multinazionale del tabacco, la Brown & Williamson, Bergman capisce di avere in mano un’inchiesta sensazionale: Wigand è stato licenziato perché contrario a trattare il tabacco delle sigarette con ammoniaca, sostanza che induce nel fumatore una dipendenza fisica dalla nicotina.
Trasmettere l’intervista del dirigente, pone la Cbs davanti al rischio di essere citata per danni e di essere oggetto di una richiesta di risarcimento di tale entità da farle rischiare l’assorbimento da parte della multinazionale. Per la Cbs l’accusa formale è di «interferenza lesiva», anche se per Bergman si tratta più semplicemente di censura: Tu senti solo “interferenza lesiva”. Io sento “taglia l’inchiesta”.
Il rischio economico conseguente alla sconfitta giudiziaria è troppo alto. L’intervista non va trasmessa: la censura è necessaria per salvaguardare l’indipendenza della Cbs Corporation. Da un punto di vista deontologico il problema non dovrebbe esistere.
I giornalisti sono assunti per dare tutte le notizie, o almeno quelle che si ritengono notiziabili: tocca a loro scegliere, valutare e controllare il tipo di eventi da cui selezionare le informazioni.
Nel raccontare quel che è successo, il cronista non deve essere condizionato dagli interessi, diretti o indiretti, della casa editrice. La buona fede, la lealtà e la responsabilità verso i cittadini devono prevalere, tenendo sempre conto del rispetto della persona e della verità sostanziale dei fatti.
Sono proprio questi i limiti al diritto all’informazione: i fatti devono esser narrati in modo da evitare gratuite aggressioni alla reputazione delle persone coinvolte e devono rivestire un qualche interesse per l’opinione pubblica. È il principio della verità, la corrispondenza rigorosa tra fatti accaduti e fatti narrati, il fondamento della professione del cronista che, proprio come uno storico (d’altronde il giornalista è stato definito lo storico del presente), ha il compito di accertare la verità della notizia e di controllare l’attendibilità della fonte. Nel caso contrario si corre il pericolo di perdere la fiducia del pubblico, dei lettori o degli spettatori, e di non svolgere correttamente la funzione di informare i cittadini.
Proprio il rapporto di fiducia tra gli organi d’informazione e i cittadini è la base del corretto funzionamento della vita democratica. D’altra parte il ruolo sociale del sistema dell’informazione è di fare, per dirla con una felice e ambiziosa definizione, il cane da guardia della democrazia.
Dal film viene fuori il ritratto di un Paese dove il potere del denaro fa barcollare anche il baluardo della libertà d’informazione e chi ha più potere nella gestione dei mezzi di comunicazione ha più forza per inquinare le coscienze. Bergman cerca in ogni modo di costringere la Cbs a rivedere la propria decisione, ma la sua amara constatazione è che “la stampa è libera per chi la possiede”.
La libertà di critica e di cronaca, come succede sempre più spesso anche da noi, può esser fortemente limitata anche dal mezzo giudiziario, con richieste di risarcimenti di svariati miliardi. Diventa quindi necessario trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza di tutelare le persone offese e il diritto dei giornali di riferire quello che accade.
Autorevolezza e credibilità devono esser garantite anche da una netta distinzione fra notizie e pubblicità, fra scelte della redazione e criteri di marketing. La contestazione dell’ anchorman di 60 Minutes nei confronti di un troppo zelante amministratore della Cbs, colpevole di aver tagliato una sua intervista, dà lo spunto per un’altra domanda: a chi tocca definire e identificare la notizia? La risposta più ovvia è: naturalmente ai giornalisti. Mediatori tra un particolare fatto e la diffusione e la conoscenza di esso, a loro deve esser attribuito il compito di selezionare e dare il giusto risalto a un evento, in piena libertà. Ma sempre più, oggi, sembra assumere peso la figura del manager all’interno delle scelte editoriali. Si crea così il pericolo di uno sbilanciamento della funzione di corretta informazione verso quello della strategia strettamente aziendale.
Insider. Dietro la verità
> (The Insider, USA, 2000) REGIA: Michael Mann SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Eric Roth e Michael Mann FOTOGRAFIA: Dante Spinotti MUSICA: Lisa Gerrard e Peter Bourke MONTAGGIO: William Goldenberg e Paul Rubell PRODUZIONE: Michael Mann e Pieter Jan Brugge INTERPRETI: Al Pacino, Russel Crowe, Cristopher Plummer, Diane Venora, Philip Baker, Hall Lindsay DURATA: 151’ Fino a che punto si può attaccare giornalisticamente una multinazionale?
di Gianmarco Serra
Il dottor Wigand, dirigente della sezione ricerca e sviluppo di uno dei grandi colossi nella produzione di sigarette, viene licenziato perché ritiene pericoloso il sistema di trattare la nicotina con l’ammoniaca (per aumentare la dipendenza fisica del fumatore) mentre gli studi scientifici non hanno ancora dato risposte sicure. Convintosi della malafede dei vertici dell’azienda, i cui principi sono esclusivamente quelli del profitto a tutti i costi, comincia il suo riscatto morale al fianco di Lowell Bergman (l’ottimo Al Pacino), un abile e scaltro giornalista televisivo di cui diventa amico, intraprendendo una sua personale battaglia per divulgare gli allarmanti contenuti dei dossier scientifici di cui è in possesso.
Si innesca un duro braccio di ferro tra l’ex dirigente e la multinazionale, che lo porta in tribunale per non aver rispettato la clausola del suo contratto sulla segretezza delle informazioni aziendali. La questione diventa di difficile soluzione giuridica: si possono rivelare segreti aziendali se si ritiene che non vengano presi opportuni accorgimenti produttivi per la tutela della salute pubblica? Malgrado venga effettivamente registrata con lui un’intervista per la seguitissima e battagliera trasmissione 60 Minutes, i vertici della Cbs, spaventati dall’eventualità di un conflitto legale con la potente Brown &Williamson che minaccia cause miliardarie, decidono di bloccarne la messa in onda integrale tagliando i punti più scottanti. Ma Lowell Bergman è ormai troppo coinvolto emotivamente e pur di ottenere la messa in onda dell’intervista senza censure, non si fa scrupolo di mettersi contro i suoi capi denunciando alla stampa concorrente l’atteggiamento della sua rete televisiva.
Ispirato ad un caso reale, il film mette efficacemente in luce l’atteggiamento durissimo delle grandi multinazionali americane quando subiscono un attacco. La strategia di difesa per il colosso passa dalla distruzione della vita familiare dell’ex dipendente, anche attraverso mafiose intimidazioni a moglie e figli, fino al tentativo di censura della televisione con una manovra fatta di ricatti economici e con la concreta minaccia di un inglobamento attraverso l’acquisto della proprietà.
Ma anche il caso personale di Lowell Bergman si presenta comunque conflittuale: mettere a repentaglio l’indipendenza della televisione o tradire le promesse fatte a Wigand tagliando l’intervista? Non stupisce che, una volta riuscito a far trasmettere l’intervista integralmente, il giornalista rassegni le sue dimissioni.
Ridotti al minimo gli apporti finzionali della sceneggiatura per ammorbidire una storia che è la cronaca dettagliata dell’odissea di un uomo che decide di sfidare una potente azienda, l’ottimo taglio da inchiesta ci offre un film ideale per chi ha voglia d’indignarsi contro le multinazionali del tabacco. Eccellente la prova dei due attori protagonisti.