Lei ha superato da tempo la cinquantina, non ha mai studiato, vive con un marito analfabeta e nove figli che aiutano i genitori a tirare avanti una piccola azienda agropastorale.
È forte, deve essere stata bella, ha fatto scelte importanti nella vita. La più impegnativa: difendere se stessa e i propri cari dall’accanimento della sorte e delle istituzioni. Accanimento è una parola grossa, soprattutto pronunciata nelle caserme dei carabinieri che questa donna ha suo malgrado imparato a frequentare, ma lei la scandisce con convinzione.
La prima volta risale a tanti anni fa.
Suo marito finì in carcere per una presunta estorsione all’imprenditore al quale conferiva il latte. Mancavano due giorni a ferragosto: Maria seguì il suo uomo in caserma, si accertò che venisse assistito da un avvocato, poi si piazzò davanti alla redazione del giornale locale. E raccontò a un accaldato cronista una storia di vessazioni attuate proprio da quello che pretendeva di essere la vittima. Ma che invece non pagava da mesi il latte ed esigeva che suo marito, pastore analfabeta, incassasse i suoi ritardi senza protestare.
La storia, grazie probabilmente al vuoto pneumatico ferragostano di notizie, finì in prima pagina. E il pastore illetterato, ma più sua moglie con un grappolo di bambini da sfamare, commosse i lettori e indusse il giudice a una più seria verifica delle tesi a confronto.
Erano anni difficili: la carcerazione preventiva era una incognita legata alla sensibilità di questo o quel giudice istruttore. Invece il marito di Maria se la cavò con qualche settimana di reclusione, segnata da una scarcerazione senza scuse che - all’epoca come oggi - non si usavano dopo un errore giudiziario. Il pastore tornò in “prima” molti anni dopo, poco tempo fa.
Una volta perché, insieme alla moglie, scampò a uno stranissimo agguato di misteriosi fucilieri della notte. La seconda perché aveva dato uno schiaffone a un tizio, vicino di pascolo, che invece di risolvere il problema rideva delle stragi degli agnelli altrui fatte dai suoi cani.
Il secondo arresto, ordinato dal pm un mese dopo la presunta aggressione (per inciso, davanti ai carabinieri chiamati proprio dal marito di Maria) risvegliò l’istinto massmediatico di questa donna. Ancora una lunga attesa davanti a una redazione per raccontare che quello sì, si era beccato un ceffone, ma perché sbeffeggiava la vittima di una strage di bestiame che rischiava di mettere in ginocchio una piccola azienda familiare.
Questa volta Maria ce l’aveva un po’ anche con i carabinieri che, invece di intervenire in difesa di chi aveva subito un danno incalcolabile, si schieravano istintivamente contro suo marito.
Considerato un avanzo di galera per quella vecchia storia del latte, ma soprattutto perché aveva qualche condanna per guida senza patente della motocarrozzella della famiglia. «Il fatto - si scalda la moglie - è che un analfabeta si vergogna ad ammettere di non sapere neppure scrivere il proprio nome». Nel caso di suo marito, sostiene Maria, un padre di famiglia può preferire un processo penale a un umiliante esame nella scuola frequentata dai propri figli. Punti di vista, però Maria ha una innata propensione a fare delle proprie ragioni una giustificazione inconfutabile.
Chiuso anche il secondo incidente giudiziario (segnato da un’altra scarcerazione lampo senza tante scuse) Maria è ritornata al suo tran tran di mungiture, macellazioni di maiali, assistenza ai parti delle pecore e delle capre.
Sempre vestita con abiti sformati e seguita da un nugolo di figli e nipoti. Ma con un sorriso aperto che fa venire voglia di chiederle cosa mai ci sarà da rallegrarsi, in mezzo a tanto stento. Maria non ci ha mai pensato, ma replica che quando una ha le spalle larghe come le sue il mondo non fa paura.
Lei ha la sua vita, suo marito da accompagnare in giro con la macchina (perché lei la patente l’ha presa), i nipotini che nascono numerosi, i figli da difendere dalla sprezzante indifferenza dei paesani che guardano in tralice quella famiglia così fuori moda. Perché numerosa, chiassosa e arrogante per autodifesa.
Maria si considera come una matriarca? Lei ti guarda un po’ stupita, poi esplode in una delle sue risate contagiose. «A casa mia non comanda nessuno, le decisioni le prendiamo insieme - taglia corto -. Mio marito non mi ha mai mancato di rispetto, altrimenti gli avrei insegnato a farlo. Non posso dire altrettanto di chi continua a guardarci storto, dei carabinieri che si ostinano a controllarci anche se sanno che non abbiamo niente da nascondere, dei giudici che non capiscono cosa significhi difendere il poco che abbiamo, dello Stato che ci lascia soli con le nostre bestie. Come bestie».
Maria ha un istintivo senso dell’ingiustizia e una plateale capacità di rimarcarla, ma soprattutto - lei apparentemente così anacronistica - nelle difficoltà ha maturato una forza che è l’unica eredità che trasmetterà alle sue figlie. «Se la devono far bastare, la forza - ride -. A me la vita non ha dato altro, ma quel poco è stato tutto».