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Non solo nella capitale sbocciano i fiori del male
 
Novi Ligure è una cittadina di provincia di 30 mila abitanti, in Piemonte. È una cittadina ricca, come tutte quelle del Nord., abitata da gente che lavora tanto ed è terrorizzata dagli extracomunitari.
Avrà sicuramente la sua strada principale per le passeggiate tra le vetrine; avrà sicuramente i suoi centri commerciali e le sue villette a schiera, tutte uguali, con il giardinetto davanti e dietro, le siepi potate, il prato simil-finto, il cartello “attenti al cane”.
In una di queste case una donna e suo figlio dodicenne sono stati uccisi con 97 coltellate.
Si parla di rapina, i giornalisti interrogano i vicini di casa: “si, è terribile, non ce l’aspettavamo, non si può stare neppure tranquilli nelle proprie case, c’è un campo di slavi vicino alla città, hanno già rubato altre volte”.
Ecco di nuovo il ricco e opulento Nord che si sente assediato dal nemico esterno: africano, slavo o albanese che sia.
Ed è proprio albanese il giovane indicato in fotografia dalla diciassettenne Erika, figlia e sorella delle vittime, come l’autore del massacro. Chissà, forse una faccia poco raccomandabile, cicatrici, occhi piccoli e freddi, labbra sottili, fronte stretta: questo è il volto del male, così se lo sono immaginati tutti a Novi Ligure e in Italia, così se lo è immaginato Erika.
Invece non era così, il male aveva il volto di una ragazzina di 17 anni, sportiva e vestita alla moda. Una ragazza normale, come ce ne sono tante, normalmente carina, normalmente svogliata a scuola, normalmente fidanzata ad un adolescente altrettanto “normale che l’ha aiutata, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, ad uccidere a pugnalate la madre e il fratellino.
Ora “la società tutta” si interrogherà sulle ragioni di un gesto così efferato; si interrogherà sugli adolescenti di oggi che comunicano solo con il telefonino, e lo farà sicuramente nel rito collettivo del dibattito televisivo, con l’ausilio di esperti criminologi e psichiatri. Ma soprattutto sarà quella società di provincia del ricco Nord a farsi delle domande.
Ha detto bene Sebastiano Vassalli sul “Corriere della Sera”, ricordando il delitto Graneris (nel 1975 una ragazza di 19 anni, di Vercelli, uccise madre, padre, fratello e i due nonni insieme al fidanzato): “La vita in questa provincia di solito produce ottime persone, ma qualche volta può creare comportamenti aberranti e mostruosi. E come se qualcuno sbagliasse gli ingredienti di un cocktail e ne venisse fuori una miscela destinata ad esplodere”.
L’orrore e il male non possono esistere nelle piccole cittadine ridenti dove la vita si svolge tra la chiesa, la scuola e la propria casa, dove non ci sono problemi economici e ci si conosce tutti. I problemi semmai arrivano da fuori: dagli albanesi che rubano o dalla droga, che viene spacciata sempre dagli albanesi, ai ragazzi della benestante e normale provincia del Nord. Italia. In fondo quando Borghezio dice che pensare agli extracomunitari è “un riflesso condizionato naturale”, non fa altro che riportare un’opinione comune. Questa triste vicenda di cronaca ha scardinato per un attimo questa concezione mettendone in evidenza l’ipocrisia e facendo affiorare per un attimo l’ipotesi ancora più sconvolgente che dietro quelle coltellate non ci sia odio, droga, pazzia, ma ancora peggio il vuoto, il nulla.
Quando ho sentito le dichiarazioni di incredulità sul fatto che un simile delitto fosse potuto avvenire in un luogo noto per la sua tranquillità, mi è venuto in mente Stephen King, lo scrittore americano. Lui è uno che il marciume delle provincia linda e pulita l’ha portato a galla molte volte, a modo suo naturalmente. Ho pensato a Todd Bowden, il protagonista del suo racconto “L’allievo”, - 13 anni, un metro e 72 di altezza, un buon 63 Kg di peso, capelli biondissimi, occhi azzurri, denti bianchi e regolari, pelle abbronzata... l’aria del classico ragazzo americano – che sterminerà padre, madre e professore e sceglierà come suo mentore un ex gerarca nazista sfuggito alla legge.
Ho pensato alla sua casa, come la descrive l’autore: “Era una di quelle villette a schiera, precedute da un piccolo giardino. Era bianca con imposte e finiture verdi. La casa era circondata da una siepe. La siepe era tosata e tenuta molto bene”.
Ho imparato dai suoi libri che non c’è luogo migliore perché l’orrore si scateni, che un posto tranquillo, una villetta a schiera e un giardino ben tosato.
NUMERO /1
Anno 2001, n. 1
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