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PCI nuorese: un partito malato
 
di Il Partito Comunista Italiano si avvia alla celebrazione del suo diciottesimo Congresso Nazionale; anche il P.C.I. nuorese terrà, ovviamente, la sua assise congressuale. Noi modesti osservatori delle cose nuoresi non possiamo non puntare la nostra attenzione sulla situazione interna del P.C.I. e sul dibattito congressuale. Non senza però dare uno sguardo agli ultimi 10 travagliati anni.
Negli anni ‘70, anche a Nuoro, il Partito Comunista aveva avuto grossi risultati elettorali sull’onda di quanto avveniva sul piano nazionale; ma era la situazione organizzativa, lo stato a dir poco insoddisfacente delle sezioni relegate al rango di retro-bar, a dare le maggiori apprensioni per il consolidamento e la capacità di spendere bene quegli esaltanti risultati.
Nonostante il suo migliaio circa di iscritti, il Partito organizzato non esisteva proprio; e aveva solo un obiettivo.
Sul finire degli anni settanta le sezioni cominciarono a poco a poco a conquistare un loro spazio, a ritrovare una sede propria che consentisse un minimo di iniziativa politica. Le elezioni comunali dell’80 furono segnate da un risultato elettorale non soddisfacente, almeno rispetto alle attese, e da una sequela di questioni personali, di accuse di irregolarità nella campagna elettorale, di corsa alle preferenze, culminata nel risultato negativo del capolista Melis che veniva scavalcato dal giovane emergente Dadea.
Il Partito visse una stagione di forti tensioni interne, un dibattito acceso da questioni personali, con deferimenti agli organi di controllo; ma seppe comunque trovare nella carente capacità di direzione e di elaborazione la causa del risultato elettorale insoddisfacente.
Fu decisa la costituzione di un autorevole comitato cittadino con il compito di elaborare, dirigere la politica del Partito nella città, di promuovere l’attività delle sezioni. Fu nominato responsabile Giovanni Doa, non più giovanissimo, ma accompagnato dal consenso per il buon lavoro svolto nella Sezione Togliatti.
Seguì un periodo di notevole dibattito interno su varie questioni, dalla costituzione della Giunta laica e di sinistra al Comune di Nuoro, fatto in sé di grandissima rilevanza, che vedeva per la prima, ed ancora unica volta l’ingresso del PCI al governo della città e la DC all’opposizione dopo oltre 30 anni di dominio incontrastato, alle questioni del PRG, della sua approvazione definitiva, alla definizione di molti strumenti urbanistici alternativi, al Monte Ortobene.
Fu un dibattito intenso, appassionato, ma caratterizzato da una partecipazione ristretta di compagni (è mancata la capacità di coinvolgere tutti gli iscritti alle discussioni), appiattito intorno alla politica comunale, incapace di uscire dal chiuso del Partito per svilupparsi nel corpo stesso della città.
La stessa esperienza della Giunta laica e di sinistra, nata più dalle divisioni interne della DC e dalla sua incapacità a dare un governo stabile alla città, che da una vera e profonda volontà di rinnovamento e di alternanza democratica che mancava nelle forze politiche che dettero vita alla maggioranza, fu dapprima un’abile ed anche un po’ spregiudicata manovra tutta interna al Consiglio Comunale.
Poi, sotto la spinta dell’azione efficace degli assessori comunisti, la Giunta visse almeno un anno di grande vivacità, con buoni risultati in campo urbanistico, nella gestione della macchina burocratica amministrativa, nella creazione di parchi pubblici attrezzati, ecc. Successivamente i condizionamenti interni ebbero il sopravvento, la verifica programmatica e della stessa costituzione della giunta, esigenza posta puntualmente dal PCI, durò tutto un lunghissimo anno, e l’esperienza della giunta laica e di sinistra finì fra mille sfilacciamenti.
Grave fu l’errore di assecondare i tempi lunghi di questa verifica, forse dettato dalla volontà di non interrompere un’esperienza che si riteneva positiva; in politica i tempi sono una componente fondamentale! In tutta questa vicenda e in tutto questo tempo il Partito delle sezioni e degli iscritti restò sostanzialmente spettatore inoperoso ed anche impotente, forse timoroso di "disturbare i manovratori", certo incapace di ricercare un ruolo autonomo, non succube della pretesa e del malcostume della Federazione di Nuoro di intervenire in prima persona nella politica della città di Nuoro.
Fu perduta così una possibilità unica nella vita e nella storia del Partito nuorese di crescita e di formazione di nuovi compagni che pure si affacciavano alla politica militante.
Nel congresso nazionale dell'83, fu decisa una riforma del Partito tendente ad accrescere il peso politico delle sezioni, la scomparsa dei comitati cittadini, la costituzione di un comitato di coordinamento senza ruolo ed autonomia politica, con compiti meramente organizzativi; forse questa era una riforma necessaria in alcune realtà forti del Partito, comunque da verificare nelle reali condizioni locali.
A Nuoro prevalse l’interpretazione letterale delle decisioni maturate a livello nazionale non si tennero nel debito conto le condizioni di precarietà delle sezioni cittadine, in difficoltà non certo per il ruolo predominante del comitato cittadino; non si tenne conto della esperienza dello stesso comitato cittadino, non certamente compiuta.
In breve le sezioni restarono senza guida e senza adeguati stimoli e si arenarono su attività meramente organizzative e burocratiche; il Partito della città nel suo complesso finì di esercitare quel ruolo di direzione, di elaborazione e di promozione che con il precedente comitato cittadino, sia pure in modo insufficiente e poco autonomo, aveva cercato di svolgere. Insomma la terapia fu peggiore della malattia!
Gli iscritti cominciarono a calare; nel 1984 sono 1000, nel 1985 scendono a 913; l’età media cresce e si registra un invecchiamento del Partito; sono rari i giovani e tra questi gli studenti; questo invecchiamento è ovviamente più evidente se si osserva soltanto l’età media dei componenti i comitati direttivi delle sezioni; crescono per contro i pensionati e le casalinghe che raggiungono circa il 20% degli iscritti.
Nelle sezioni si registra una carente iniziativa politica, pochi i momenti di dibattito e di confronto, e poco frequentati dal compagni; assenza di un qualunque rinnovamento politico e organizzativo; accentramento del momento decisionale nella Segreteria della Federazione; tutta la vita del Partito in città si avvita in una spirale di causa-effetto, con conseguente paralisi organizzativa e, politica.
In questo quadro si arriva alle elezioni comunali del 1985.
Il Partito si presenta con un programma rabberciato, privo di indicazioni radicalmente diverse da quelle che hanno caratterizzato le maggioranze che hanno sgovernato la città negli anni precedenti, portandola al collasso economico e finanziario e allo scandalo del caso Bellodi.
La proposta politica è sostanzialmente ambigua, oscillante fra la proposta di alternativa, poco credibile perché non supportata da un programma alternativo, e quella di una giunta di emergenza o "di salute pubblica".
La lista viene composta senza tenere nel debito conto le indicazioni delle sezioni; senza una preventiva selezione dei candidati, anche con forme di sperimentazioni come "elezioni primarie"; senza coinvolgimento degli iscritti e dell’opinione pubblica comunista e progressista.
La stessa conduzione della campagna elettorale risente di questi limiti ed errori, e ritornano come già nelle precedenti elezioni comunali del 1980 i casi di clientelismo, di corsa alle preferenze, di scorrettezze reciproche fra i candidati che gettano una luce sinistra sull’immagine del Partito, che invece si propone come il Partito del cambiamento e del rinnovamento.
I risultati elettorali anche questa volta sono in soddisfacenti; il Partito comunista riconferma il suo potenziale di voti, rielegge lo stesso numero di consiglieri (11). Quanta delusione! La speranza e le attese erano di gran lunga diverse.
Eppure gli elettori avevano bene inteso l’esigenza del cambiamento e del rinnovamento richiesti dal PCI: la DC e il PSI vengono ridimensionati; la Dc perde 3 consiglieri, il PSI ne perde soltanto uno, ma il PCI non guadagna nulla; cresce soltanto il PSd'AZ.
In quell’estate dell’85 faceva molto caldo nelle stanze del PCI nuorese.
Ancora una volta accuse di scorrettezze, contraccuse, clima rovente, sfiducia, organismi di controllo incapaci di ristabilire un minimo di decenza; latitanza politica di un nutrito numero di compagni.
La compagna Antonietta Fancello è incaricata di coordinare i resti del Partito in città; viene deciso di organizzare una conferenza di organizzazione da tenere in autunno; fra un rinvio e l’altro la conferenza sì tiene il 30 novembre 1985. Fu una piccola primavera sbocciata in autunno!
Un gruppo di compagni raccolse la sfida; fu prodotta una notevolissima mole di dati, di elaborazioni, di proposte; la conferenza ebbe un notevole successo di partecipazione, di consensi; ancora oggi rappresenta uno dei pochi momenti esaltanti cui spesso non pochi compagni fanno riferimento.
Ma le primavere d'autunno durano lo spazio d’un mattino!
All’indomani di quella conferenza c’erano le condizioni per una ripresa vera del Partito a Nuoro. Ma il congresso dell’86, il congresso dell’alternativa, per il Partito della città non fu di buon auspicio.
Già durante il congresso alcuni momenti di vivacità mostrati da qualche sezione della città furono spenti sul nascere e bollati come atteggiamenti presuntuosi e velleitari; per il Partito della città fu decisa la ricostituzione di un comitato cittadino che avesse autonomia politica e decisionale, come auspicato dalla conferenza cittadina del novembre ‘85.
Tutto bene quindi!? Ma le cose non andarono così! Forse qualche compagno particolarmente influente ritenne troppo pericoloso quel tentativo di rilanciare l’attività del Partito in città, che rompeva l’equilibrio dell’immobilismo su cui lo stesso si reggeva.
Fu impiegato quasi un anno per riuscire ad organizzare un’altra conferenza di organizzazione, con una serie innumerevole di riunioni per decidere modalità funzioni, competenze; un lavoro defaticante; la conferenza si tenne nel settembre dell’86; il comitato cittadino fu nominato nel più ossequioso rispetto della tradizione, che vuole una proposta secca, votata ad alzata di mano, nella stanchezza generale; senza un briciolo di innovazione, di inventiva, di sperimentazione, sempre ammesse come necessarie e possibili, ma sempre negate.
Il capolavoro fu certamente quello di togliere alla compagna Fancello il compito di coordinare l’attività del Partito in città a partire dall’indomani del congresso del Febbraio dell’86: promossa a più alto incarico! nella Segreteria della Federazione; promuovere per rimuovere.
Quella dell’ultimo comitato cittadino, con il compagno Tore Marteddu segretario, della sua nomina su proposta della Federazione, della sua inattività (sarei tentato di scrivere della sua inesistenza), delle successive dimissioni del segretario, nell’autunno dell’87, tardive e quasi imposte, dell’incarico temporaneo di coordinatore del comitato cittadino dato al compagno Berria (ma è già passato più di un anno), della destituzione del comitato cittadino dell’estate dell’88, della costituzione di un gruppo di lavoro con il compito di preparare la rifondazione del Partito e i congressi delle sezioni cittadine di questo inverno 1989, è storia molto recente per essere raccontata, sia pure velocemente, in questo articolo.
Intanto lo stato di salute del Partito, si fa per dire, è a dir poco comatoso; l’attività politica delle sezioni è praticamente nulla, fatta eccezione per la sezione Gramsci; il numero degli iscritti è progressivamente diminuito ogni anno di un centinaio circa di compagni; nel 1987 erano 776, nel 1988 sono 658, non si hanno dati per l’anno 1989 alla data odierna.
In questi giorni il Partito in città è impegnato nella campagna congressuale; dai primi congressi tenuti non sembra si possa dire che siamo in presenza di una svolta che la percezione dei guasti prodotti nel corpo del Partito da tanti anni di crisi non sia totale nei semplici compagni iscritti come nei dirigenti di sezione o di Federazione; non si nota una volontà concreta di voltare pagina, di affondare il bisturi del rinnovamento radicale nelle carni malate di questo Partito comunista, con coraggio, con caparbietà, con spirito di sacrificio, con umiltà; ma anche con spregiudicatezza, e con la disponibilità a pagare anche dei prezzi politici, rompendo con una tradizione all'insegna del continuismo e dell’unanimismo rituale e di facciata, come è detto nel documento politico che sta alla base del 18° Congresso Nazionale.
In altra parte del giornale sono meglio individuati gli aspetti programmatici e di linea politica che il Partito dovrebbe darsi, a nostro giudizio, per diventare veramente il Partito del cambiamento e del rinnovamento, il Partito nuovo del riformismo "forte".
Qui a noi basta pubblicare quanto scritto in quella ormai lontana conferenza di organizzazione dell’autunno dell’85, senza aggiungere parola.
"Dagli atti della conferenza organizzativa del 30 novembre 1985".
Si ritiene di poter indicare come possibile rimedio la ricerca costante e la conquista di una sana, corretta, ricca e articolata democrazia interna, insieme all’affermarsi del metodo del confronto e della chiarezza nei rapporti interni agli organismi e di una rinnovata solidarietà nei rapporti fra i compagni militanti, che consenta a tutti, anche al più umile di essi, di sentirsi libero di portare il proprio modesto contributo.
Si deve affermare che al decisione è la sintesi finale di un processo che vede come momenti qualificanti l’informazione, la conoscenza, il confronto e la partecipazione; informazione e conoscenza attraverso un vitale flusso di dati, di elaborazione, di studio che deve percorrere tutto il corpo del Partito, che investa i singoli compagni militanti, le sezioni, le commissioni di lavoro, il Gruppo consiliare, il Comitato di coordinamento, perché il Partito nel suo insieme e nella sua complessità e totalità accresca il patrimonio di conoscenza della realtà sociale, politica ed economica per cui operare le proprie scelte.
Confronto e partecipazione come metodo e strumenti di direzione politica da ricercare e conquistare per tutto il Partito, in ogni momento della sua vita interna, ma che caratterizzi in maniera inequivocabile anche tutta la sua proiezione esterna.
Le forme di questa ricerca, di confronto e di partecipazione sono sul piano della vita interna del Partito:
a) rivalutazione dell'assemblea degli iscritti;
b) affermazione della titolarità politica della sezione territoriali nell'ambito del proprio territorio di competenza;
c) affermazione del ruolo di dirigente politico del Segretario di Sezione;
d) momenti di confronto anche con tecniche referendarie sulle grandi scelte politiche o di consultazione profonda che coinvolga almeno i direttivi di sezione nella designazione di compagni a cariche pubbliche o a candidati a liste elettorali e possibilità di elezioni "primarie" con gli iscritti;
e) ricostituzione e attivazione delle commissioni di lavoro e precisi limiti agli organi dirigenti di Partito di assunzione di scelte politiche senza il parere motivato della competente commissione;
f) affermazione del ruolo di direzione politica del Comitato di Coordinamento;
g) definizione del ruolo del Gruppo consiliare quale strumento per l’affermazione della politica del Partito in seno al Consiglio comunale.
Sul piano esterno:
a) ricerca di proposte, suggerimenti da parte della cittadinanza attraverso l’uso di questionari;
b) costituzione dei consigli di quartiere per dare dimensione e valenza istituzionale ai tentativi spontanei di nascita dei comitati di quartiere; è possibile e necessario ricercando il confronto con altre forze politiche democratiche presenti in Consiglio comunale, andare alle elezioni dirette dei consigli di quartiere operando una scelta di ampio respiro democratico che peraltro la legge vigente non vieta, ma indica come facoltà del Consiglio comunale.
La vita interna del Partito vivificata da questa ricca e articolata dialettica nel rispetto dell’autonomia politica delle varie istanze del Partito deve ancora essere caratterizzata da un sano e formale atto democratico che sancisca con una votazione la decisione finale presa, e che pertanto, impegni tutto il Partito alla realizzazione della linea politica che discende dalla scelta operata.
E’ opportuno rimarcare che maggioranza e minoranza che si verranno a determinare non possono e non debbono sfociare in organizzazioni precostituite che minerebbero l’unità del Partito che invece va preservata e valorizzata in quanto frutto di un reale e chiaro confronto.
NUMERO /1
Anno 1989, n. 1
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