Tornare e restare, però, è un’altra cosa: è scontrarsi con una realtà che si aveva dimenticato, con una realtà concreta che prende il posto dell’idea nostalgica che ti portavi dentro, come ogni emigrante, nei lunghi mesi passati “fuori”.
E l’impatto più forte è proprio nel particolare banale, nel fatto quotidiano che avevi dimenticato, nel diverso significato che assume un gesto, una azione, un comportamento, compiuti in una città di provincia o in una città universitaria, in una cittadina come mille altre al mondo o in una città universitaria come tante.
A dispetto delle critiche che i giovani universitari si sono tirate addosso solo qualche mese fa, uscire, sia pure da una realtà amata come la Sardegna, significa cambiare, poco o molto, significa avere nuove idee, entrare in contatto con nuove realtà, realizzare quella potenziale diversità che ognuno ha in sé e che, a seconda delle circostanze della propria vita, realizza o meno. Cosa significa quindi uno stesso gesto a Nuoro e all’Università?
Fuori, festeggiare l’8 Marzo, la festa della donna, è un’occasione in più per uscire con le amiche (se si è donna, appunto), quelle stesse che si vedono ogni giorno e con cui si scambiano le solite chiacchiere, e si parla di progetti, di impegno, di ambizioni. Se si è uomini, invece, è un’occasione per uscire tra amici, per ritrovarsi magari tutti insieme a un tavolo accanto a un tavolo di donne, a chiacchierare delle solite cose, come si è fatto la sera prima.
Magari è anche un’occasione per andare con le amiche al ristorante con addosso una parrucca e una gonna, per festeggiare in modo simpatico e divertente, appena finito il carnevale, la festa della donna, anche se si è uomini.
Questa leggerezza, questo divertimento improvvisamente spariscono quando a Nuoro, ma potrebbe essere un qualsiasi paese della Sardegna, una qualsiasi cittadina della provincia d’Italia, si va con le amiche a festeggiare l’8 Marzo, il giorno in cui ritorna veramente la consapevolezza di essere donna.
Ma donna non con ambizioni e progetti e chiacchiere leggere: donna che si lamenta perché non ha uno spazio d’azione, come forse non hanno neanche gli uomini, o meglio non ha quella disgraziata fascia d’età che sta tra un’infanzia divisa tra playstation e merendine e adulti che lavorano, beati loro!
Ma una ragazza, una donna, che occasioni ha per dimenticarsi dell’8 Marzo? Che possibilità ha di non pensare a quel giorno altro che come a un’occasione in più di svago, e non a un momento di rivalsa perché “non si ha un attimo per respirare” nella vita di ogni giorno? Che possibilità hanno le ragazze qui in Sardegna?
Se di buona famiglia, crescono bene, ubbidiscono ai genitori, prima, agli insegnanti poi e poi al marito, alla suocera, ai figli: e tutti le apprezzano, le trovano sempre carine, gentili, disponibili e servizievoli, con una testa loro, certo, programmata fin nei particolari per ricoprire le funzioni di brava figlia, buona madre, grande lavoratrice, moglie devota: educate si, educate al loro ruolo.
E quelle che vengono magari da una famiglia non tanto buona e che non sono tanto educate, non tanto brave e non pensano a niente? Non vanno a scuola, non vanno più neanche a lavare le famose scale perché non ne hanno voglia, danno dispiaceri ai poveri genitori e sempre subiscono la propria vita: impossibilitate a uscire dal loro ambiente, vengono travolte da chi è più forte di loro, senza neanche lanciare un grido d’aiuto che sono sicure rimarrebbe inascoltato.
Di fronte a queste realtà che senso ha festeggiare l’8 Marzo? Non è più un giorno di festa, ha di nuovo il suo drammatico significato di emarginazione, prevaricazione e silenzio, silenzio imposto anche da altre donne, intendiamoci, che aveva cinquant’anni fa.
Il femminismo, quello che bruciava i reggiseni in piazza, ormai è superato, è giusto che lo sia, ma la vita negata alle donne è ancora drammaticamente attuale. A Nuoro come altrove.