Le recenti prese di posizione del Cardinale Biffi nei confronti dei musulmani e l’atteggiamento di chiusura verso di loro assunto dalla Lega Nord, hanno suscitato una discussione alla quale hanno preso parte alti prelati della Chiesa Cattolica, forze politiche nazionali e intellettuali italiani.
Uno dei metodi per affrontare il problema della presenza dei musulmani in Italia e per comprendere la fede che essi professano nei loro paesi di provenienza è, a mio parere, quello di sforzarsi di conoscere l’Islam.
Islam, infinito del verbo aslama, significa: “abbandono, sottomissione, rassegnazione” (alla volontà di Dio). Il termine deriva dalla radice salima, fra i cui significati troviamo: “essere o rimanere sano e salvo, incolume, illeso, indenne, intatto, integro; essere ineccepibile, irreprensibile; essere chiaramente provato ... essere libero”; il muslim (=musulmano) è “colui che si affida a Dio”.
Nato agli inizi dell’VIII secolo nella Penisola Arabica, l’Islam è diventato, nell’arco degli ultimi 15 secoli, una religione con oltre un miliardo di fedeli distribuiti in tutto il mondo, presenti soprattutto nei continenti dell’Asia e dell’Africa.
Circa nel 610 dC, nella città mercantile della Mecca, Muhammad (Maometto) iniziò la sua missione profetica chiamando gli Arabi al culto del Dio unico e alla professione dell’Islam, terza delle tre religioni monoteistiche di ceppo abramitico e, secondo la tradizione musulmana, sigillo della profezia.
Deriso e tollerato dai suoi contribuli quraisciti meccani nel primo periodo, divenne loro nemico quando la sua predicazione per gli “uguali” di fronte a Dio fece molti adepti, scompaginando l’assetto sociale e religioso dell’antica Arabia. L’Islam aboliva, infatti, fin dal suo nascere, la differenza tra le tribù, unico e autentico pilastro sociale, economico e politico dell’Arabia preislamica, fra le razze, primi suoi adepti furono neri e persiani, e rendeva tutti fratelli nella Umma (comunità di tutti i credenti), governata dalla massima autorità di Dio nel tramite del suo Messaggero (Rasùl) e dei suoi successori califfi (khalìfa = rappresentante del Profeta Muhammad sulla terra).
Il rapporto conflittuale instauratosi con i suoi contribuli che esercitavano un controllo sul pellegrinaggio pagano che si svolgeva alla Mecca e l’irritazione prodotta nelle persone che volevano continuare a seguire i loro culti in cui il numero delle divinità era proporzionale al numero delle tribù, spinsero Maometto ad accettare l’invito di alcuni cittadini della non lontana Yathrib che lo chiamavano ad esercitare la funzione pacificatrice di Hakam, cioè di “arbitro” giusto e mediatore tra le contese. Il movimento di Maometto da Mecca a Yathrib, da allora Medina (ovvero madìnat an-Nabi = città del Profeta), segna l’inizio del calendario dell’ègira (=emigrazione) nel 622.
Nei dieci anni che trascorrono tra il primo anno dell’egira e il 632, anno della scomparsa di Maometto, si viene a costituire il nucleo fondante della Umma musulmana e l’Islam si configura come Din wa Dawla (Religione e Stato). Sconfitto il politeismo della Mecca, le schiere musulmane sono pronte per lanciarsi in un movimento di rapida e fulminante conquista che le porterà sotto i califfi successori di Maometto, in meno di un secolo dalla sua morte, a stabilire i confini della Dar al-Islam (Territorio dell’Islam) dai Pirenei all’Indo. Ad animare i musulmani vi era non solo la possibilità di appropriarsi delle enormi ricchezze dei territori conquistati, ma anche la promessa del Paradiso per coloro che morivano combattendo sul sentiero di Allah. La conquista araba implicò una conversione all’Islam dei popoli vinti, anche se il cristianesimo resistette in alcune aree del Vicino Oriente, dove comunità cristiane sono ancora presenti attualmente.
Maometto fondò l’Islam su cinque pilastri: la sciahàda o professione di fede che si esplicita nella formula: “Non vi è Dio se non Allah e Maometto è il suo Messaggero”; la preghiera che deve essere compiuta cinque volte al dì; il digiuno nel Ramadàn, il mese in cui è stato rivelato il Corano; l’elemosina legale; il pellegrinaggio alla Mecca, almeno una volta nella vita. L’esistenza del musulmano è regolata dalla sciarìa, la “Via diritta” o Legge religiosa islamica, alla quale devono uniformarsi tutti i comportamenti dei fedeli, sia quelli «relativi alle pratiche di culto che quelli che si esplicano nelle relazioni tra i membri della società. Gli appartenenti ad altre religioni che vivono nei territori dell’Islam, ed in particolare coloro che posseggono testi rivelati, come cristiani ed ebrei, godono della protezione dei musulmani, purché si sottomettano al pagamento della gizia o testatico. I cristiani hanno vissuto in questa condizione nel mondo musulmano fino a quando, verso la metà del XIX secolo, incominciarono ad essere adottati codici di tipo occidentale e in molte aree dell’Asia e dell’Africa incominciò la penetrazione coloniale europea.
Uno degli effetti dell’impatto dell’Occidente nel mondo musulmano fu la restrizione delle aree di applicazione della sciarìa, ridottasi in molti paesi ai soli, ma fondamentali, ambiti del diritto di famiglia e di quello ereditario, e soppiantata in molti casi dai codici ispirati ai modelli occidentali. L’occidentalizzazione del diritto che procedette assai rapida durante tutto il XX secolo ha subito una battuta d’arresto a causa dell’opera del movimento politico di ispirazione islamica che, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, si è adoperato in tutto il mondo musulmano per il ripristino della sciarìa
Attualmente la situazione nel mondo musulmano vigono norme giuridiche che se per un verso rendono ciascun paese peculiare nelle scelte di tipo normativo e istituzionale, per l’altro consentono di pensare sostanzialmente che essi appartengono a due campi definibili sciaraitico o laico. Questa duplice suddivisione è assai sintetica e semplifica una realtà complessa, in cui se, in alcuni casi, la linea di confine delle due concezioni giuridiche e istituzionali è labile, in altri è facilmente riconoscibile come laica, con la prevalenza, cioè, di norme giuridiche ispirate ai codici del diritto positivo europeo, come la Tunisia, o come sciaraitica, in cui, cioè, la sciarìa è la Legge fondamentale dello stato, come in Arabia Saudita.
Attualmente, se volgessimo il nostro sguardo ai paesi arabi, che rappresentano un quinto circa del mondo musulmano, riconosceremo il prevalere dell’una o dell’altra concezione giuridica, con la seguente distinzione: se fino agli inizi degli anni ’70 i regimi di tipo laico erano facilmente percepibili e riconosciuti anche dall’Occidente come rappresentanti del nazionalismo arabo, negli anni successivi, in particolare a causa del fallimento delle opzioni di tipo economico che avevano privilegiato la pianificazione dell’economia e il predominio del settore pubblico, gli stessi regimi si sono trovati ad affrontare un movimento, le cui fila si sono andate sempre più ingrossando, che preme per la reintroduzione o l’applicazione della sciarìa. Paesi come l’Egitto o la Siria, nella cui area geo-politica-culturale ha preso avvio nel secolo XIX la Nahda, o risorgimento arabo, nutrita dai valori nazionali dell’arabismo, ma anche dalla cultura e dai modelli giuridici e istituzionali europei, hanno accolto nelle loro costituzioni, così come è avvenuto per altri paesi arabi, la norma che stabilisce che la sciarìa è la fonte principale della legislazione, mentre precedentemente o non era menzionata o era considerata come elemento generatore di giuridicità alla stessa stregua della consuetudine.
Per meglio inquadrare il fenomeno del ritorno della sciarìa, sia nel mondo arabo che in quello musulmano, è utile richiamare altri elementi di riflessione. Spartite definitivamente, dopo la Prima Guerra Mondiale, le spoglie di quello che un tempo era l’Impero Ottomano, l’erede turco degli antichi imperi arabo-islamici, l’Europa occidentale si ritrovò a possedere o a controllare la gran parte delle regioni abitate da Arabi e musulmani, detenendone il dominio o esercitandovi l’influenza almeno fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale: la Francia in Nord Africa (Algeria, Tunisia e parte del Marocco), in Libano e Siria, oltre che in una vasta area dell’Africa Subsahariana; l’Inghilterra nel Subcontinente Indiano, in Egitto e Sudan, in Iraq e in Persia, e in molti territori dell’Asia e dell’Africa che ne fecero il maggior Impero coloniale occidentale, l’Italia in Libia e nell’Africa Orientale.
L’inizio della Guerra Fredda e il riassetto internazionale, verificatosi dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha avuto come conseguenza la divisione anche del mondo arabo e musulmano in due grandi blocchi, in cui gli alleati dell’Occidente furono quei paesi che si sentivano minacciati dalle forze laiche del nazionalismo arabo che avevano portato all’avvento di regimi militari in Algeria, Libia, Sudan, Iraq, Yemen, anche grazie al sostegno di Nasser e dei suoi Liberi Ufficiali, insediatisi al potere in Egitto con la Rivoluzione del 1952. In questo modo si andò configurando un’alleanza di ferro tra gli Stati Uniti e paesi musulmani che dovevano fungere da cerniera di contenimento del comunismo al Nord dell’Asia Centrale e dei regimi militari antagonisti dell’Occidente nel mondo arabo. Tale scelta di campo persiste ancora oggi, anzi è condivisa da alcuni di quei paesi, come l’Egitto, precedentemente ostili agli Stati Uniti. Realtà che sono diverse, come modi di vita e di pensare, rispetto all’Occidente, come l’Arabia Saudita e il Pakistan, sono divenute alleati affidabili ed elementi di stabilità in aree di grande importanza strategica. Gli interessi interni ed internazionali di questi due paesi sembrano ancora oggi coincidere con quelli degli Stati Uniti, chiamati in soccorso nella guerra Iraq-Kuwait a proteggere le enormi risorse economiche della Penisola Arabica e allertati con il periodico esplodere del conflitto India-Pakistan.
La ragion di stato e, in questo caso, di assetti strategici internazionali, interessi economici, controllo delle fonti energetiche, prevale sugli aspetti politici e sociali di realtà diverse da quelle occidentali e consente il permanere di alleanze tra stati che si ispirano al modello liberale e tra stati che seguono il modo islamico di vita. Le differenze che esistono tra il sistema musulmano e quello occidentale si possono individuare sia nella concezione politica su cui fondano le istituzioni che nella vita privata e nei rapporti tra gli individui.
Lo stato (dawla), come abbiamo già visto si fondava nell’Islam sulla autorità di Allah, in cui il califfo, cioè il rappresentante di Maometto, era contemporaneamente autorità politica e Imàm, ovvero guida religiosa (letteralmente: “colui che guida la preghiera nella moschea”). Il califfato, in origine elettivo, mantenne nel primo periodo della storia islamica quello spirito democratico che caratterizzava la tribù araba preislamica, dove il capo era eletto per la sua moderazione e saggezza, per la sua facondia, per la sua arte della guerra, per la sua capacità di organizzazione della razzia e di perpretamento della vendetta, caratteristiche tutte, o virtù secondo l’etica beduina, che si accompagnavano alla magnanimità nei confronti dei vinti e di coloro che chiedevano protezione, all’aiuto nei confronti degli orfani e delle donne, alla generosità regale nei confronti degli ospiti e degli amici.
Già nel I secolo, dopo Maometto, il califfato si trasformò da elettivo in ereditario e l’Islam subì la prima grave frattura che separò sunniti, cioè i seguaci della sunna o tradizione di Maometto, e sciiti, cioè i membri della scia ovvero partito di Ali, IV califfo, cugino e genero del profeta. I sunniti rappresentano ancora oggi la maggioranza del mondo musulmano e, per semplificare il problema, sono attestati nelle aree in cui storicamente è prevalso l’elemento arabo dei conquistatori, mentre gli sciiti si sono affermati in altri territori in cui le antiche componenti etniche islamizzate, come i Berberi in Nord Africa, al tempo dei Fatimidi, o gli Iranici in Persia e in altre aree dell’Asia centrale, si sono riaffermate a partire dalla seconda metà del VII secolo. Grande vigore ha ripreso lo sciismo in tempi recenti, grazie alla vittoria della Rivoluzione islamica di Khomeini in Iran nel 1979, che ha favorito le attività dei gruppi sciiti, presenti sia in Libano che nei territori palestinesi, di cui gli appartenenti al Hizb Allah (Hezbollah = Partito di Dio) sono una nota componente, mentre nell’Iraq meridionale gli sciiti costituiscono la maggioranza dei musulmani. Non vi sono state storicamente, né esistono attualmente, grandi differenze dottrinarie tra sunniti e sciiti, se diversità sono ammesse nelle due confessioni musulmane ciò è dovuto alla possibilità di seguire una della quattro scuole giuridiche sunnite o le poche sciite.
La presenza nel mondo musulmano di regimi, stabili politicamente, e a forte caratterizzazione religiosa, come quello sunnita in Arabia Saudita, che segue la scuola hanbalita, quella più rigorista tra i sunniti, o quello sciita in Iran, non solo favorisce il compito delle Missioni per la diffusione dell’Islam, a livello planetario, ma influisce anche all’interno di realtà politiche in cui ha prevalso una divisione tra potere spirituale e potere temporale e dove i regimi di ispirazione laica non sono stati in grado di estendere l’applicazione dei modelli di diritto positivo a tutti i settori dello stato e della società. Anche nei Paesi a direzione laica il diritto di famiglia ed il diritto ereditario, se si fa eccezione per la Tunisia, sono rimasti nella sfera della sciaria e la permanenza attiva di questi due ambiti, accanto alla presenza di paesi musulmani stabili politicamente e potenti economicamente, come sono quelli produttori di petrolio ha funzionato da entroterra che incoraggia il movimento islamico che si batte per il ritorno della sciaria.
Questi due ambiti costituiscono, inoltre, uno dei nodi che sembrano difficili da sciogliere nelle relazioni tra il mondo occidentale e il mondo musulmano; mentre, infatti, è stato possibile giungere a molti accordi in diversi campi (politico, economico, militare, culturale ecc.), soprattutto il diritto di famiglia sembra sfuggire a questa possibilità. Una donna che sposa un musulmano diviene ipso facto soggetta alle norme giuridiche islamiche che regolano il diritto di famiglia, norme già espresse nel Corano e che configurano una preminente posizione dell’uomo in quanto marito e padre. Per quanto pochi musulmani esercitino il loro diritto a sposare quattro mogli o ad accompagnarsi a concubine, tuttavia non consentono deroghe alle norme vigenti in materia di potestas, sia come mariti che come padri.
Questo mi pare uno degli aspetti principali da tenere in considerazione e su cui bisogna operare per trovare soluzioni non solo in caso di matrimoni misti che finiscono con separazione o divorzio, ma anche nell’eventualità che musulmani coniugati si stabiliscano, per motivi di lavoro, nei Paesi occidentali, dove sono obbligati sia individualmente che, eventualmente, con la loro famiglia al rispetto delle leggi applicate nei Paesi ospitanti. In un mondo in cui la circolazione degli uomini e delle merci si è velocizzata e favorita dalla trasformazione del pianeta nel “grande villaggio globale”, la condizione perché esso abbia un buon funzionamento può solo fondarsi su regole certe e rispettate da tutti coloro che desiderano esserne parte. Il problema non è semplice né di facile soluzione, ma solamente la reciproca conoscenza e il reciproco rispetto può garantire l’elaborazione di norme in grado di assicurare gli interessi nazionali dei paesi occidentali, di mantenere viva la loro identità culturale e, contemporaneamente, di favorire l’inserimento di coloro che per necessità e bisogno bussano alle porte delle case dei cittadini d’Europa.
La Sardegna che pure, fin dal lontano passato quando l’aggressiva marineria arabo-islamica lanciava i suoi assalti contro i territori europei, ha sempre difeso coraggiosamente il suo territorio dai tentativi di invasione armata dei musulmani, ha accolto, in questi ultimi anni, lavoratori che pacificamente vi sono venuti a svolgere attività ma ha anche accettato che un grande investitore musulmano come il principe ismailita sciita Karim Agha Khan vi immettesse i suoi capitali, valorizzandone coste e creando opportunità di lavoro. Se questa duplice presenza non ha messo in discussione l’identità dei Sardi, può fungere, con le dovute distinzioni, da punto di riferimento per esperienze che si stanno consumando in altre parti d’Italia e d’Europa. n
*Professore Associato di Lingua e Letteratura Araba - Facoltà di Lingue e Letterature Straniere - Università di Sassari.