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L'immigrazione e il razzismo
 
Non sono rimasto particolarmente colpito dalle parole del cardinale Biffi che invocava leggi che ostacolino l’immigrazione islamica se non avesse suscitato tanto clamore sulla stampa e nel mondo politico.
Allo stesso modo, più dell’affermazione del cardinale Ratzinger, subito ribadita dal papa, che non c’è salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica, mi hanno sorpreso le reazioni che ha suscitato. Sono rimasto sorpreso da queste reazioni alle parole dei principi della chiesa, perché ancora non riesco ad accettare che gli italiani in genere non conoscono le idee portanti delle culture nelle quali dicono di riconoscersi.
Che cosa c’è di strano per un cattolico, tanto più se uomo di chiesa, nell’affermazione che non c’è salvezza possibile fuori della sua Chiesa? Come può un cattolico sostenere, come hanno fatto tanti in questi giorni, che questa affermazione, che è il pilastro della chiesa cattolica, da san Paolo in poi, è un tradimento, o perlomeno un abbandono, dello spirito conciliare, quando dovrebbe essere a tutti noto che è questa convinzione la causa prima e decisiva della separazione delle chiese cristiane, già dalla sua origine e che il Concilio non ha mai neanche lontanamente pensato di correggerla e, tanto meno, di abbandonarla?
È, né più né meno, la questione del primato di Pietro, che non può essere posto in discussione dalla Chiesa Cattolica. Se il papa impazzisse e cominciasse a dire, nell’omelia domenicale, che Dio è un fatto personale e che non c’è ragione alcuna per mantenere in vita un’organizzazione ecclesiale che dica come e dove e quando va pregato e adorato, qualcuno alle sue spalle lo ucciderebbe sul balcone.
La convinzione che chi non è battezzato non può salvarsi è tanto ferma che la Chiesa non riconosce che il limbo ai giusti non battezzati, a cominciare dai neonati o dagli embrioni mai nati. Chi la vede in contrasto col Concilio, o pensa, cadendo in un fraintendimento colossale, che il Concilio Vaticano ha abbandonato l’affermazione del primato di Pietro, o, più semplicemente, non ne capisce le implicazioni.
Il cardinale, ovviamente, non ha detto che Dio non può chiamare a se’, nella sua infinita bontà e nella sua imperscrutabile potenza, chi vuole. Ha detto semplicemente che le vie della salvezza, per quello che Dio ha comunicato agli uomini attraverso la Rivelazione, sono quelle, e solo quelle, che la Chiesa Cattolica indica e offre, in ogni momento storico, attraverso il battesimo. Cristo ha trasmesso al solo Pietro il potere di rimettere i peccati.
Il papa si è affrettato a ribadirlo. Lo credo bene. Negare questo significherebbe ammettere la ricerca individuale della salvezza e della verità, e, di fatto, minare le fondamenta della stessa Chiesa, il crimine imperdonabile di tutti gli eretici, l’origine comune di tutti gli scismi.
La Chiesa può ammettere tutte le teorizzazioni immaginabili su qualsiasi argomento e nei millenni ha accettato le novità scientifiche, sia pure con enormi e lunghe resistenze, e solo quando costretta, ma non ha mai riconosciuto, e , a mio modo di vedere, non riconoscerà mai a nessuno, individuo o organizzazione, diversa da se’, imperatore, stato o chiesa, alcuna autorità in materia di fede, perché vedrebbe, giustamente, messa a rischio la sua stessa esistenza. Ma allora il Concilio?
Il Concilio, secondo me, voleva essere e era niente di meno e niente di più che un’apertura al mondo, nel senso che la Chiesa era disposta a riabbracciare nel suo seno ogni fede, ogni istanza di salvezza, ma nel suo seno. Era una grande offerta di perdono. Come un padre che vuole riunire una famiglia divisa da antichi rancori, può essere pronto a riconoscere nei confronti dei propri figli torti passati e farne ammenda, ma non può accettare che si metta in dubbio la propria paternità, così la Chiesa era disposta a rivedere e ricomporre con tutti, ebrei, ortodossi, buddisti, islamici, con gli stessi atei, i conflitti passati, ritenuti effetto di incomprensioni, anche di insufficienze nel magistero, di responsabilità storiche anche gravi, ma nella convinzione ovvia che la conciliazione poteva operarsi nel ricongiungimento di tutti nell’ambito della Chiesa. Messaggio ripetuto in ogni atto del Giubileo.
È, d’altronde, assurdo pensare che chi è convinto di aver ricevuto la verità in mandato possa sentirsi autorizzato a metterla in discussione. Può ammettere di averla spiegata male, con metodi sbagliati, di esserne stato depositario inadeguato, ma non negarla o contrattarla. La verità rivelata è inconciliabile con un’altra verità. È indivisibile. Tutto ciò che è in contrasto con la Rivelazione è Errore, umano o diabolico.
Altrettanto torto si è fatto al cardinale Biffi accusandolo di razzismo, perché auspica leggi sull’immigrazione che consentano l’arrivo in Italia solo di cattolici.
Lo stesso Casini si è sentito in dovere di prendere le distanze dal Cardinale, affermando solennemente che il suo partito è per un’Italia multietnica, sottintendendo, evidentemente, che il cardinale non lo è. O non conosce il significato delle parole o non conosce il catechismo, o le due cose insieme. Il cardinale Biffi non è rimbecillito e è sicuramente un cattolico rigoroso, quindi non è razzista.
In ogni caso non ha parlato di razze e non ha chiesto nessuna forma di pulizia etnica. Si è limitato a chiedere alle autorità che facciano in modo che in Italia ci sia una e una sola religione, non una sola razza. La Chiesa Cattolica, e il cardinale con lei, non credono nelle differenze razziali o, comunque, non le ritengono importanti per la fede. Biffi, e sicuramente parla in sintonia con la maggioranza dell’alto clero, è preoccupato di una minaccia di espansione in Italia, se non di un’invasione, di musulmani, che siano arabi, magrebini, senegalesi o ariani purissimi, così come combatte gli ortodossi, non certo gli slavi in genere, visto che il suo più alto superiore è slavo purissimo, e non odia i cinesi, visto che molti di loro stanno diventando santi, ma solo i cinesi comunisti.
La chiesa fa leva sulle etnie solo quando il proselitismo cattolico può essere avvantaggiato dai conflitti (tra serbi e croati e tra Tutu e Tutzi e chi altri) o quando è minacciata la sua supremazia, come nell’Europa di oggi, ma tiene sempre presente che il messaggio di cui è portatrice non è destinato a un popolo eletto ma a tutti gli uomini, che devono essere riportati, uno per uno, nel suo grembo.
È anzi questa, l’universalità del messaggio e il giudizio finale, la peculiarità che distingue il cristianesimo e l’Islam dall’ebraismo: l’ebraismo è il patto di un popolo, storicamente connotato, nettamente distinto da qualsiasi altro, e il suo Dio, che, in cambio della sua dedizione esclusiva, promette di fargli raggiungere la supremazia su tutti gli altri popoli. Contraenti del patto non sono tutti gli uomini, ma Abramo, che si impegna anche per i suoi discendenti, e il suo Dio. In più, l’ebraismo classico, a differenza del cristianesimo e dell’Islam, non credeva nell’immortalità dell’anima, per cui, in cambio dell’obbedienza, Dio non ha promesso un premio dopo la vita, ma nel mondo, e non un premio individuale, ma collettivo.
Il patto che lega il popolo a Dio è quindi un elemento di coesione etnica potentissimo, visto che l’individuo solitario non può ottenere il favore divino, il destino individuale è insignificante e la prosperità (di questa solo può parlarsi, dato che la felicità è un obiettivo che non si pone, essendo uno stato individuale) può essere solo collettiva. La disobbedienza individuale è una macchia nella condotta collettiva, della quale l’intera collettività dovrà rispondere al suo Dio, per cui l’individuo si carica di una terribile responsabilità nei confronti del suo popolo.
Una religione del genere porta inevitabilmente alla chiusura etnica, al razzismo. Un razzismo in senso lato, naturalmente, non in senso stretto, visto che per gli israeliti gli arabi, che sono semiti come loro, ma anche altri popoli ebrei, non rientrano nel patto con Dio. Il razzismo umano in senso stretto è una cretineria scientifica, visto che tutti gli uomini apparteniamo a una sola razza. Il razzismo comune, quello pericoloso, è quello che confonde la razza con la residenza in un paese piuttosto che un altro, con l’essere biondo e non scuro, col tifare Inter o Milan, col frequentare una chiesa o una moschea. Gli ebrei che parlano di un antisemitismo arabo rubano agli arabi anche l’appartenenza etnica Rifiutano loro anche l’appartenenza al ceppo semita. Il problema serio è che non li considerano uomini come loro, così come non considerano uomini come loro nessun altro.
È il razzismo comune. E il razzismo è necessariamente xenofobo. Può essere, quando gli è concesso, tollerante nei confronti dei costumi e delle credenze degli altri popoli o razze, o indifferente, nel senso che il razzista non si sente né responsabile dei comportamenti degli infedeli né da essi, in via di principio, danneggiato, ma si sente continuamente minacciato dalla presenza stessa dell’altro.
Il cristianesimo non è razzista nei suoi presupposti dottrinali, in quanto ritiene tutti gli uomini figli dello stesso Dio, ma è intollerante perché afferma il dovere di ogni cristiano di perseguire la salvezza di tutti.
Conseguentemente, il cristiano è intollerante per dovere religioso. Non può accettare che qualcuno non creda, che non professi la fede, che non accetti gli insegnamenti della sua chiesa.
In linea di massima, l’appartenenza etnica è indifferente, l’unica parentela che conta essendo quella in Dio. Ovviamente solo in linea di massima, perché la Chiesa Romana non ha esitato a sostenere i croati contro i serbi, per esempio, esaltando le differenze tra popoli dello stesso ceppo e inventando etnie inesistenti, o fomentando disordini negli stati che ostacolano il proselitismo, fino a favorire i ricambi dei governi. Paradossalmente, l’Islam è tra le religioni monoteiste quella teoricamente più tollerante, almeno nei confronti delle altre due. Considera ebrei e cristiani correligionari, in quanto adorano lo stesso Dio. Riconosce come suoi i loro libri e venera i loro patriarchi e i loro santi, da Abramo a Gesù Cristo e alla Vergine Maria. Ovviamente anche l’Islam è intollerante nei confronti di qualsiasi forma di libero pensiero, ma non conosce il razzismo, in via di principio: Dio è padre anche di coloro che lo combattono.
Non voglio con questo dire che l’origine dell’intolleranza o del razzismo è la religione. Razzismo e intolleranza sono atteggiamenti mentali possibili e sempre pronti in ogni comunità umana e le religioni non possono non risentirne, anche quelle altissime, che, infatti, hanno di molto addolcito nel corso dei secoli, il loro rigorismo. Si può anzi dire che le religioni sono molto più tolleranti, almeno nelle elaborazioni dei dotti, e certamente nella predicazione dei loro fondatori, dei popoli che le professano, e che hanno rappresentato nel momento storico in cui sono apparse un fattore di progresso per i popoli ai quali si sono rivolte per primi.
L’ebraismo ha dato forza e vita a un popolo disperso, il cristianesimo ha messo in movimento strati sociali fino ad allora fuori della storia, l’Islam ha creato da una miriade di piccole tribù disperse un popolo e una cultura che hanno investito il mondo. Mi riferisco alle tre monoteiste, ma penso che valga per tutte le religioni, e per il pensiero umano in genere.
Insomma, la Chiesa Cattolica non è razzista e non lo sono i cardinali Biffi, Ratzinger, Ruini, e i vari onorevoli e non che si agitano contro le moschee in Italia. Sono solo intolleranti.
Sono soltanto convinti di esistere soltanto loro o di averne diritto solo loro. Che poi la Chiesa abbia mai pensato di rinunciare al primato di Pietro può essere solo l’impressione di qualche osservatore disattento o la speranza di un interlocutore o di un eretico. La grande parata giubilare è stata tutta un’esaltazione del primato del vescovo di Roma, fino agli anatemi scagliati contro la manifestazione degli omosessuali, vista come una profanazione della città santa, culminata nel giubileo dei politici, che è stato un richiamo ai cattolici alla disciplina interna e un monito ai non cattolici. La scelta di Tommaso Moro come patrono dei politici va in direzione diametralmente opposta a ogni ipotesi di riconciliazione con le Chiese dissidenti: il buon cattolico non ha altra patria che la sua Chiesa e, in obbedienza ai suoi insegnamenti, deve opporsi fino al martirio a qualsiasi altra patria o re. Nella stessa direzione va tutto l’insegnamento per exempla fornito dal Papa, dalla canonizzazione di Pio IX alla esaltazione dei martiri della Vandea, dei missionari cinesi, dei franchismi spagnoli. Non mi pare che la Chiesa manchi di coerenza.
Veltroni avrebbe dovuto dire che le chiese, non il comunismo, nelle loro basi teoriche, sono inconciliabili con la libertà. A meno che non si abbia della libertà il concetto che le chiese offrono: è libero solo chi aderisce alla fede, ogni altro comportamento è prigionia del Demonio. Il concetto di libertà moderno, intesa come libertà di essere ciò che si vuole essere, nasce con le grandi rivoluzioni, inglese, americana, francese, russa. Nasce, cioè, come spiegava Marx, col sistema di produzione capitalistico.
È il capitalismo, nel suo svilupparsi, che toglie alle cose ogni aspetto spirituale. Mercificando il mondo, lo oggettivizza, lo semplifica, lo rende comprensibile. L’uomo del capitalismo sente di poter dominare il mondo, non ha bisogno dello sciamano per spiegare i fulmini, i terremoti, le malattie.
Per l’uomo colto la religione può essere vissuta solo come ansia esistenziale, come sensazione di fragilità, come ancora nella vastità dell’universo. Così sente fratello ogni uomo, comunque la pensi e comunque e dovunque viva, che mangi patate o riso, bistecche o hamburger.
NUMERO /5
Anno 2000, n. 5
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