Non era esattamente questo quello che Orwell raccontava nel suo 1984: quella era una parabola futuristica che prospettava un regime totalitario nella forma di un grande occhio presente in ogni casa a controllare, giudicare, accusare. Il presente è qualcosa di totalmente diverso (benché il totalitarismo sia presente e in una forma più sottilmente pericolosa) e il 1984 è passato già da un pezzo: sono le 18 e 30 e ci buttiamo sul divano a seguire le nuove avventure nella casa del Grande Fratello. E dedichiamo mezz’ora della nostra vita a spiare mezz’ora di quelle di altri che semplicemente vivono, cucinano, mangiano, ruttano, dicono cazzate per la maggior parte del tempo, come la maggior parte della gente. Perché? Che interesse possiamo mai provare nei confronti di cinque persone qualsiasi rinchiuse in una grande gabbia accessoriata? Che senso ha passare anche solo una mezz’ora a guardare delle persone che non fanno niente di diverso da quello che facciamo noi? Perché la cosa ci diverte? Perché, dopo lo scetticismo iniziale, le remore morali, il tutto finisce comunque per coinvolgerci? E ci stanno a cuore le sorti di emeriti sconosciuti, si fa il tifo per l’uno piuttosto che per l’altro? La spiegazione non è facile ma è in qualche modo intuibile: per lo stesso motivo stiamo ore connessi a internet, mandiamo messaggini col cellulare, cerchiamo l’abbonamento telefonico più conveniente e finiamo per spendere comunque più di prima. Non ho alcun dubbio che in un futuro non troppo lontano l’alienazione raggiunta dall’uomo preistorico del 2000 sarà palese e oggetto di divertito studio allo stesso modo di quella dell’uomo preistorico romano o medievale. Con la rete informatica tutto è a portata di mano: attraverso telecamere lontane mille miglia possiamo osservare l’alba di San Francisco, il tramonto islandese e un incrocio qualsiasi di Londra. Ma siamo soli, nella nostra piccola cella accessoriata, a spiare il mondo dal buco della serratura, perché non abbiamo il tempo né i soldi necessari per andare a vedere un’alba americana o un tramonto islandese, perché siamo sempre di corsa e correremo sempre più veloci e gli anabolizzanti saranno alla portata di tutti e anzi diventeranno obbligatori se ci consentiranno di correre ancora più veloci e il nostro corpo e la nostra mente saranno talmente avanzati da poter compiere quattro azioni contemporaneamente: mangeremo lavorando connessi a internet parlando al telefonino. Non sei tu a penetrare la rete, è la rete a invadere il tuo corpo e la tua vita. Cosa c’è nella cella accessoriata del Grande Fratello che ci ripugna e attira allo stesso tempo? E perché ci connettiamo al sito cicciocicio.com per vedere come vivono due studentesse milanesi circondate da telecamere ventiquattrore su ventiquattro? Perché proviamo il desiderio di collegarci alle webcam piazzate nei cessi di una scuola, di un ristorante o di un supermercato? Perché sentiamo il bisogno di mettere una telecamera nel cesso di casa nostra e collegarla alla rete? Forse perché ci sentiamo esistere solo se qualcun altro ci guarda mangiare, ruttare, defecare? Forse perché, nella nostra solitudine accessoriata, ci piace pensare di non essere poi così soli? Perché non riusciamo a trovare il tempo per incontrarci ma ci mandiamo un casino di messaggi sms? Fratello dove sei? Ti guardo piangere perché io non sono più in grado di farlo. Ti guardo ridere perché io non sono più in grado di farlo. Ti guardo vivere perché io non sono più in grado di farlo. Perché non riesco a sentire la tua voce? Le tue labbra si muovono ma non arriva alcun suono. La musica è troppo alta, il traffico troppo rumoroso. Non riesco a sentirti. Se per gridare aiuto abbiamo bisogno di sedere su un cesso e davanti a una telecamera, vuol dire che l’umanità se ne sta andando giù per lo scarico fognario.