Proliferano centri di diffusione di nuove dottrine, si sperimentano pratiche di altre culture, si abbracciano filosofie che propongono sistemi di vita alternativi.
A migliaia nel mondo, nel corso degli ultimi decenni, con cadenza costante, fioriscono e scompaiono movimenti, tesi a compensare le presunte o reali perdite di sé, con discipline intenzionali che si seguono non per desiderio di nuove conoscenze culturali che arricchiscono, ma per un ipotetico, sperato, desiderato benessere psicologico individuale tanto vagheggiato quanto solipsistico e pertanto assolutamente triste e malinconico. Rifugi sempre più ambiti e frequentati quanto più le relazioni, sentite, profonde e gratuite con il mondo intorno, diventano difficili e lontane; quanto più le persone che ci circondano, a causa dei tempi e dei ritmi di lavoro, ma anche dell’ansia e della smania di raggiungere obiettivi sempre nuovi ed ambiziosi, sono viste come possibili concorrenti od ostacoli al conseguimento di tali mete.
È naturale allora che il malessere, conseguenza inevitabile della disumanizzazione, porti a cercare soluzioni alternative pacificatrici, inutili però, perché ansia e malessere costantemente si ripropongono in quanto insiti in quel modo di vivere.
Si rende necessario spesso un intervento esterno per superare stati d’animo intollerabili; le stesse aziende prevedono talvolta consulenti speciali per aiutare le persone in difficoltà.
Tutto ciò è assolutamente paradossale. Gli ambienti di lavoro creano condizioni di solitudine, quando non di reciproco conflitto (è stato coniato un nuovo termine, naturalmente inglese, “mobbing”, per indicare ad esempio la pratica, pare frequente, di isolare o annientare qualche collega che si suppone possa ostacolare la carriera) e contemporaneamente fingono di fornire anche l’antidoto al male.
In verità l’impressione di aver soddisfatto le proprie aspettative, dal più piccolo bisogno alla più originale voglia, crolla non appena si scava appena sotto la superficie di apparente appagamento.
Se la dipendenza creata dal ruolo di consumatori soddisfatti e felici non può essere appagata, la certezza si sfalda in quella terribile sensazione di vuoto che deve essere immediatamente riempito per non consentire spazi liberi alla riflessione e al dubbio sul senso di tutto ciò. Nel cuore di tutte le epoche un tempo, anche molto recente, vi era un nucleo di tradizioni, immagini racconti, vi era cioè una storia propria, che aveva il potere e la funzione di consentire il riconoscimento di sé e del gruppo di appartenenza.
Oggi non è più così. Il nucleo si è spostato in un non luogo, in una immateriale parte del mondo che probabilmente non interessa neppure conoscere, una sorta di ipotetico centro impersonale e spersonalizzante che ha lo scopo di mettere in relazione tutte le parti per i più disparati motivi.
Mentre si cerca poi di orientarsi nuovamente per ricomporre in un mosaico di senso le varie parti ed avere quindi ancora una visione della globalità dell’uomo (altro paradosso questo: si è persa in epoca di globalizzazione la visione globale delle cose a favore di una ottica sempre più parziale); mentre di ciò si parla e si dibatte nel tentativo di capire ed organizzare un possibile adattamento esistenziale meno frustrante, tutto viene di nuovo inglobato ed asservito alla produzione e al consumo e riprende l’angoscia e con lei la ricerca di sistemi più o meno utopici per la sua cura. Certo i cristalli benefici, le piramidi energetiche, la meditazione, la cromoterapia o quant’altro possa consentire una sensazione di benessere ed alleviamento dello stress deve essere considerato positivamente e giusto diritto di ciascuno è anche pertanto il ricorrervi.
Ciò che è assolutamente inaccettabile è il fatto che questo avvenga all’interno di rigorose leggi di interessi di mercato che sfruttano la frustrazione prodotta dai ritmi di lavoro improntati all’efficientismo e alla produzione esasperata, costringendo le persone a rifugiarsi in una sorta di eden inesistente, e inducendole a credere di aver trovato le sperate vie di fuga.
Anche qui sembrerebbe, come già in altri aspetti della vita, che queste scelte siano risposte libere e creative ad un malessere individuale o collettivo, in realtà tutto è perfettamente strutturato o dal mercato dell’editoria o da quello della musica, o dell’ultima moda di alimentazione salutistica etc…Quindi mentre tutto intorno il possibile desiderabile ammicca e i desideri nascono e muoiono senza che si abbia neppure avuto il tempo di gustarli, gli oggetti delle nostre brame diventano all’improvviso catene che imprigionano la nostra volontà anziché liberare la creatività.
Ci si illude allora che l’immateriale sia la risposta che può rompere il meccanismo perverso del ciclico soddisfare sempre nuovi bisogni con sempre nuovi consumi, ma la ricerca della soddisfazione sembra destinata a continuare perché sembra sempre nascondersi in un altro luogo dove non si riesce mai ad arrivare in una costante tensione ancora più frustrante.
Un esempio per tutti sembra abbastanza chiarificante di quanto sopra sostenuto. Jack Kerouac, mito della beat-generation, inconsapevolmente e certo involontariamente, ha creato la fortuna dei jeans Levi’s ed ora ha dato una mano ad un’altra impresa commerciale: una casa editrice che apre i battenti sul Web con una novella inedita di Kerouac scritta nel 1945.
Questo sarà il primo titolo su Live reads.com, presentata non solo come testo da leggere, ma come esperienza multimediale con musica, video-clip, links tra ipertesti, il tutto con buona pace di Allen Ginsberg e William Burrougs personaggi ispiratori delle novelle di Kerouac e certo fautori di una vita non conformista o asservita alle leggi di mercato.
Al di là del fatto, di per sé naturalmente non giudicabile negativamente, resta la apparente meraviglia di poter scegliere le possibili soluzioni da percorrere nella lettura ed anche la eventuale modifica del finale se questo non è di nostro gradimento con un percorso virtuale differente, fatto ancora in sé neutro, ma se ci si abitua, come già sta succedendo ai più giovani, a modificare il destino dei personaggi virtuali in continuazione, si rischia di credere che prima o poi ciò che avviene virtualmente possa accadere realmente.
Ecco quindi tornare in campo sempre la nostra finta libertà di azione scrupolosamente studiata da altri per motivi ben lontani dai nostri.
Importante è rendersene conto.