Ne è conferma, la più contemporanea, il sequestro-farsa del fallito di Mondovì.
L’intera opinione pubblica, dal più provinciale dei fogli a Internet, si sono impegnati in una gara per costruire nuove piste e soprattutto ripercorrere sentieri già conosciuti, quelli di sempre: dal mare alla montagna, dalla costa al fosco interno. Nuoro quindi.
Cosa abbiamo saputo fare, a verità rivelata, lo si è visto. Lamentele, proteste, indignazioni che già costituiscono la trama per la prossima volta. Lamentele, proteste e indignazioni, bisogna dirlo, tutte consumate a circuito interno.
Cosa gliene cale al Corsera o a quelli del Tiggì del fatto che possiamo anche essere società civile lo dimostrano da un lato il ridurre la sceneggiata a costume nazionale (Stefano Lorenzi e il suo cupio dissolvi come le ferite del professor Marsiglia veronese che si inventa vittima ebraica), dall’altra le attestazioni di stima, a ostaggio recuperato, e rispetto per la nostra durezza e interezza, per la nostra selvaggia beltà. Tutto postumo. Il resto, the rest, anche questo alla prossima.
The rest is silence, vorremmo anche noi dire come Amleto morente. Il fatto è che continuiamo a morire inconsapevoli oppure adeguandoci. Siamo noi stessi i primi a considerare il sequestro come segno identificante. All’opposto, siamo sempre noi a credere che sia turismo la follia estiva degli sbarchi. Cosa resta in autunno, o se preferite all’apparir del vero, lo dimostrano appunto il clamore mediatico per un falso sequestro e l’attesa dell’acqua nell’isola assetata anche d’inverno, esorcizzando l’alluvione.
Come da sempre.
Né la sete però, né l’alluvione né tante altre cose degne d’attenzione pubblica, nazionale e internazionale, risaltano come il banditismo, vero e presunto, come il turismo e tante altre parole che finiscono in ismo, isma, isme e ismi. Convenzioni, appunto, cliché.
La barbarie dei sardi, nuoresi in particolare, gente capace di barbari melismi, così come la bellezza del mare, sono due convenzioni, due luoghi dell’immaginario che cercano conferma nel reale.
Questo reale se non c’è bisogna artefarlo, costruirlo. Se ne ha bisogno perché serve, questo luogo reale artefatto, per scaricare, in un mese, due, tre o anche più (per chi se lo può permettere), le scorie da accumulo di una società civile che fa della violenza il fine e il mezzo.
Nella civiltà contemporanea tutto è all’insegna della violazione: il libero mercato portato alle sue estreme conseguenze vìola antichi e nuovi (sempre più rari) patti di solidarietà, la rete di comunicazione telematica è diventata un libro della giungla che altera i rapporti tra la capacità del Bene e le forze del Male quali ci sono nel libro immaginato da Kipling. Ancora, a proposito di libri, nella giungla del millennio appena iniziato è l’idiozia del grande fratello a prevalere. Orwell è soltanto citazione. Leggessero i suoi libri i consumatori di televisione! È chiaro che una società siffatta, che accumula la propria autodistruzione, ha necessità ogni tanto di uno stacco.
Cosa di meglio allora di una inventata Sardegna? Ancor meglio se l’invenzione risponde a schemi consolatori per l’uomo moderno: lasceremo i nostri residui organici e no in quel luogo inventato prima di ritornare alla quotidiana lotta tra l’homo homini lupus. Che pensino gli indigeni a smaltirle, le scorie. La Sardegna, visto che non si può bruciarla per intero, vale quanto un più o meno lontano sito di vacanza.
Ho sentito una leggenda due o tre mesi fa. Parlava di un luogo tra Bitti e Buddusò, una valle, Lupu forse o altro inferno, diventata fossa di scarichi radioattivi. Camion e tir, sbarcati di notte e in pieno giorno, a Terranova, pieni di veleni e di peste caricati nelle terre della giungla.
E se la leggenda fosse vera? Che uomini e donne saremmo per impedire che il residuo, la scoria nucleare, si sovrapponga al nostro essere pocos, locos y male unidos che più residuo non si può?
Due postille.
1) La Sardegna non è solo un luogo dello spirito. La Sardegna tutta, Nuoro in particolar modo, sono da sempre consumatori d’invidia. Segno caratteristico di una società isolana e isolata dove il consumo a circuito chiuso dell’intero ciclo biologico, la vita e la morte, fa sì che si sia insieme mangiatori e mangiati. Niente di meglio per chi, in pace in guerra, voglia impossessarsi di quel circuito di consumo avendo però la possibilità di uscirne, di andarsene dopo averne preso tutto l’utile possibile. La vita del circuito, la forza, l’energia vitale, sono date appunto dall’invidia, vero motore di tutte le cose. Avverte ancora un antico, repente aforisma, che è anche un consiglio riferito ai mangiatori: bocca piena, in una mano la carne nell’altra il bicchiere e occhio dritto verso il tagliere. Che gli altri non ti facciano prima. Se vuoi vivere.
Ma: chi vuol restare oggi a Nuoro, per viverci?
2) Dicono che la Scuola così come la Storia sia magistra vitae.
Ma mi facciano il piacere! direbbe Totò a tanti onorevoli e no.
Venitevene a Nuoro, una città dove gli studenti del Liceo Classico sono da sempre senza Liceo. Ai miei tempi, più di trent’anni fa, fummo diasporati al Museo del Costume. Oggi non ci sono più posti dove diasporare i nostri figli, i nuoresi residenti intendo.
I figli degli altri invece, quanti vengono a Nuoro dai paesi del circondario, diretti non solo al Liceo Classico (Mai Uve) ma anche ad altri Istituiti, si ritagliano uno spazio, nel consumo della notizia, per i pullman messi a soqquadro.
A Nuoro oggi, non è possibile dare zero in condotta.