Anzi, con un’unica via d’uscita, una grande invenzione che gli avrebbe cambiato la vita, gli avrebbe consentito di fare il grande salto, di essere accettato senza riserve nel dorato mondo degli industrialotti del Nord: una macchina chiodatrice, ma non una qualsiasi, una macchina chiodatrice rivoluzionaria. Uno scrittore avrebbe dedicato un intero capitolo alla sua descrizione, alla progettazione e alle risate di scherno degli amici. Un uomo, un sogno, una macchina chiodatrice… Fino alla dolorosa constatazione che quella meravigliosa macchina perfetta non l’avrebbe finita mai.
In un romanzo questo fatto sarebbe stato una rivelazione simbolica, Stefano avrebbe piantato tutti, stufo dell’ipocrisia della sua esistenza. Uno scrittore lo avrebbe fatto vagare nei sobborghi oscuri di una grande metropoli, sperduto tra barboni, spacciatori, delinquenti. Gli avrebbe fatto incontrare un uomo pieno di cicatrici e tatuaggi, con lo sguardo di ghiaccio. Un uomo che gli avrebbe offerto whisky in una bettola e gli avrebbe detto: “Vuoi cambiare vita? Ti aiuterò, fratello!”.
Lo avrebbe portato in un oscuro vicolo, lo avrebbe fatto passare da una porta di legno fradicia, fino ad arrivare in una stanza puzzolente di fumo ed alcool, dove un uomo di nome Jack Spaccaossa, o qualcosa del genere, gli avrebbe procurato documenti falsi in cambio dell’orologio d’oro, regalo di suo padre. In un romanzo Stefano Lorenzi avrebbe osservato l’unico legame che gli restava della vita passata, avrebbe pensato alla villetta a due piani e alla sua macchina chiodatrice, avrebbe posato l’orologio nel tavolo, avrebbe preso i documenti, si sarebbe voltato, sarebbe uscito dalla porta e sarebbe sparito per sempre inghiottito dai fumi nauseanti dei sobborghi di una grande città.
Invece nella realtà, Stefano Lorenzi è un “BURLER”, un “BAUSCIA”, come l’hanno definito i suoi compaesani; un figlio di papà un po’ sbruffone, un figlio del ricco nord, che sceglie di sparire in Sardegna, a Porto Torres, dopo aver preso coscienza che la sua macchina chiodatrice non avrebbe inchiodato mai niente, ma i creditori avrebbero certamente inchiodato lui.
E mentre scatta il piano antisequestri e l’isola si riempie di militari e giornalisti sguinzagliati per le campagne della Barbagia già provata dal flagello della lingua blu, mentre comincia il valzer delle spiegazioni pseudo-antropologiche, il finto rapito prende la corriera e raggiunge Cagliari. Ma Cagliari non è una fumosa metropoli, è solo una città di provincia dove non succede mai niente o quasi. Stefano Lorenzi non beve whisky con un misterioso personaggio dalla profonda cicatrice, ma vino Parteolla con il signor Fadda, professione nottambulo, detto “signor Bianchi”, e con i barboni di Piazza Darsena.
E quando lo sfigato pseudo-sequestrato e pseudo-imprenditore di Mondovì racconta la sua storia, il signor Bianchi e compagnia gli avranno detto, più o meno: “E cc’hai raggione, o frari, buffa su binu, che già lo conosciamo noi chi ti può aiutare!”.
La persona in questione non ha nessun nome pittoresco, si chiama invece Gianfranco Pillosu (sic!), fa il venditore ambulante e fornisce al fuggiasco la sua carta d’identità scaduta in cambio del cellulare.
In un romanzo Stefano non lo avrebbero trovato mai. Nella vita vera la tecnologia ha permesso di rintracciare il telefonino finito nelle mani di un pensionato cagliaritano, che si è visto arrivare la giustizia a casa all’ora di pranzo rischiando l’infarto, e che penso non acquisterà mai più niente dalle bancarelle. Da qui in poi è stato facile ricostruire le mosse del finto sequestrato, che aveva già attraversato il mare ed era a Roma, dove pare abbia assistito anche al Giubileo degli sportivi (!).
In un romanzo Stefano Lorenzi avrebbe fatto vita di strada e chissà, magari avrebbe capito il senso della vita. Nella realtà sarà, forse, perdonato dai familiari, che lo aiuteranno con i debiti, finirà intervistato alla “Vita in diretta” e forse tornerà a lavorare alla sua macchina chiodatrice.
Intanto in Sardegna non si è fatto una buona fama: il sindaco di Porto Torres ha chiesto un risarcimento per danni, l’opinione pubblica isolana è generalmente incazzata, e un signore ha suggerito via e-mail all’Unione Sarda che il finto ostaggio restituisca almeno la differenza del biglietto della nave, visto che ha viaggiato con lo sconto residenti.
Intanto in città si sono moltiplicati, come per gli UFO, coloro che dicono di aver avvistato il fuggiasco in città: presto avremo tutti un amico o un parente che hanno offerto un bicchiere di vino al giovane Stefano Lorenzi. Gli unici ad avere un buon ricordo di lui sembrano i barboni con i quali ha trascorso la notte. Torni pure il giovane piemontese in Sardegna, che un bicchiere di Parteolla in Piazza Darsena non glielo negherà nessuno.