Felice Cherchi Paba, il rinvenitore, gridò quindi alla scoperta eccezionale di una venere paleolitica a Macomer, ma suscitò molte discussioni. Quasi tutti gli studiosi attribuirono la statuetta al neolitico.
Il motivo principale fu che si pensava che la Sardegna non fosse raggiungibile dall’uomo, data la lontananza dal continente per i rudimentali mezzi di trasporto del Paleolitico.
Oggi, dopo le scoperte sicuramente paleolitiche a Sa Coa de sa Multa - Laerru, Sa Pedrosa - Perfugas e a Corbeddu - Oliena, si suppone che l’uomo delle caverne approfittò di periodi in cui fra la Sardegna e la Toscana esistette un ponte naturale di piccole isole.
È recente anche la conoscenza della produzione statuaria dell’isola nel neolitico, fra le più ricche ed interessanti del Mediterraneo, e molto diversa dalla statuetta di cui si parla.
Questa è una piccola scultura in trachite, alta 14 cm e larga ai fianchi 3, 5 cm., con una testa a muso di lepre. Almeno, è assai vicina a questo animale nel muso appuntito e nelle orecchie dritte. Altre teste di lepre, incise nelle pareti delle grotte, sono state attribuite al Paleolitico.
Il corpo si può dividere in tre parti: quella superiore è minuta, con spalle curve, braccia appena accennate, un unico seno piccolo e appuntito; quella centrale evidenzia le natiche e il pube; quella inferiore mostra gambe unite e atletiche.
La statuetta è stata trovata fra altri oggetti antichi, ma non in strato, nella grotta Marras, che si apre nelle rocce basaltiche sponde del rio S’Adde, praticamente dentro l’abitato di Macomer.
È esposta nelle vetrine del Museo Archeologico di Cagliari, mentre gli altri reperti, descritti nelle grandi linee dal Lilliu nel 1999, sono conservati nei magazzini.
A mio parere può essere attribuita al Paleolitico superiore o al Mesolitico, perché le rappresentazioni muliebri del neolitico sardo sono più raffinate e studiate, quasi standardizzate.
Nelle sculture paleo-mesolitiche inoltre sono evidenziate le natiche e il seno, mentre la testa è generalmente un cono o una sfera, le braccia sono raccolte e le gambe unite.
L’illustre studioso G. Lilliu attribuisce la statuetta al neolitico antico, ma le riconosce una concezione arcaica e tradizioni paleolitiche. Tra l’altro si è imposto immediatamente il nome di veneretta, perché lo stile della scultura è certamente più affine alle veneri del paleolitico superiore, diffuse in tutta l’Europa, che alle dee-madri neolitiche.
Nel neolitico la testa delle statuette presenta i lineamenti ben distinti e talvolta eleganti copricapi, i corpi sono modellati più finemente e le natiche generalmente perdono interesse, anzi le figure appaiono talvolta sedute. È stato osservato che la veneretta rappresenta una donna giovane, non appesantita come la maggior parte delle veneri che sono state rinvenute. Proprio questo tratto originale ha portato alcuni studiosi a classificare il reperto di origine neolitica.
Invece a me sembra una manifestazione artistica di una comunità ancora legata alla caccia e al nomadismo più che di un gruppo stabile. Anche l’effetto che il Lilliu definisce di non finito si può rapportare alla vita dei cacciatori-raccoglitori così dipendente dal contingente.
È da sottolineare come particolare rilevante della venere di Macomer la testa di lepre che, a mio avviso, riporta alle sue gambe muscolose, adatte alla corsa. La testa ha quella forma per tre possibili motivi: si è voluto raffigurare una donna in un momento di uno specifico rituale magico-totemico che prevedeva una maschera? Si tratta di una dea con tratti umani e animaleschi? Si tratta di una semplice ragazza brava nella corsa che l’artista ha trasfigurato con la fantasia?
È difficile dare una risposta esauriente, perché la venere di Macomer è un reperto assai raro, che trova scarsi confronti sia nel Paleolitico che nel Neolitico.
Nel Paleolitico sarebbe l’unico esemplare di statuetta conosciuta. Il neolitico antico sardo non ha una statuaria, almeno per quanto è dato sapere fino ad oggi e sempre che non venga provata un’attribuzione a quest’epoca della statuetta di Macomer.
Le figurette adipose della cultura di Bonu Ighinu, del neolitico medio, hanno una levigatezza e una ieracità molto lontane dalla nostra statuetta. Ancora più distanti, nella loro essenzialità schematica e rarefatta astrazione, appaiono gli idoli della cultura di Ozieri, del neolitico superiore, anche negli esemplari meno curati.
Nel paleolitico extra insulare le raffigurazioni femminili sono ordinariamente più voluminose e con due seni di grandi proporzioni, malgrado le affinità di fondo di cui si è già parlato.
Nel neolitico mediterraneo, in particolare in quello dei Balcani, si trovano dee con occhi di serpente e teste di uccello, ma l’attenzione degli artisti è ormai diversa da quelli del paleolitico e volta ad un più radicale simbolismo e ad una maggiore sintesi espressiva.
In termini cronologici, la veneretta sarebbe datata intorno a 10.000 anni a.C. se appartenesse al paleolitico superiore, intorno al 5000 a. C secondo l’attribuzione al neolitico antico.
Dal momento che sembra trattarsi di un manufatto paleolitico o di tradizione paleolitica, di cui non interrompe il philum, ritengo necessaria una rilettura dei reperti conservati nei magazzini del Museo archeologico di Cagliari, alla luce dei recenti ritrovamenti.
A questo punto vorrei osservare che sia nel paleolitico che nel neolitico in tutto il mondo prevalgono le statuette femminili rispetto a quelle maschili. Alcuni archeologi, fra cui Maria Gimbutas, hanno la convinzione che ciò sia dovuto a una iniziale grande fase matriarcale della società umana, pacifica e prospera.
È indubbio che esistessero anticamente donne di alto rango: si sono trovate figure femminili in trono con i braccioli a testa di leone, ma anche coppie regali. L’alto numero di statuette muliebri è da rapportare alla maternità e alla terra madre e indica in queste epoche antichissime un’alta considerazione del ruolo o dei ruoli femminili.
Oggi il matriarcato è conosciuto in pochissime comunità, mentre l’egemonia patriarcale è assai diffusa e dura da migliaia di anni. È attualmente in corso in Italia una discussione a tutti i livelli, nei diversi settori, con la rivisitazione di ruoli e modelli culturali. In questo clima di transizione dalla società borghese a quella di massa, l’interesse per le civiltà distinte dalla nostra è notevole e sembra coinvolgere anche culture molto antiche preromane.
La storia non si ripete e non si può tornare alla semplicità e quasi al candore delle società preurbane, ma l’attenzione per le veneri paleo-mesolitiche e le dee madri neolitiche può contribuire a mettere in risalto nel presente l’importanza del femminile e delle donne.
Nelle donne stesse, per indirizzare la profondità ed il realismo che le contraddistinguono verso obiettivi non secondari, negli uomini a far regredire le caratteristiche guerriere della violenza, arroganza, insensibilità, che sono in un certo senso anacronistiche, e a volere le energie verso la conoscenza e la costruttività.
La donna-lepre di Macomer, uno dei reperti più antichi dell’isola, testimonia inoltre il profondo legame degli uomini di allora con la natura, in particolare con gli altri animali.
Anche questo è un elemento di riflessione per i contemporanei che, nell’era delle macchine e delle strutture più sofisticate, non si curano dell’ambiente che li circonda, anzi spesso agiscono per distruggerlo.
BIBLIOGRAFIA
H. MULLER-KARPE, Storia dell’età della pietra, Roma 1976 (orig. 1974).
A. ANTONA, Appunti per una seriazione evolutiva delle statuette femminili della Sardegna prenuragica, Atti della XXII Riunione Scientifica dell’I.I.P.P., 1980.
M. GIMBUTAS, The Goddesses and Gods of Old Europe 6500-3500 BC. Mitles and Cult Images, Berkeley and Los Angeles, 1982.
G. LILLIU, Arte e Religione della Sardegna prenuragica. Idoletti, ceramiche, oggetti di ornamento, Sassari, 1999.